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Lettera di Natale 2006 - Gighessa

GIGHESSA CATHOLIC CHURCH - S.  NATALE 2006
P. O Box 29  SHASHEMANE - ETHIOPIA 
Tel. 00251 46 1190661;  E-mail: 
gighessa@libero.it
SMS: 0039 340 4964998

“Dopo questi fatti, Gesù designò altri 72 discepoli
e li inviò a due a due avanti a sè in ogni città
e luogo dove stava per recarsi”
   (Lc 10,1)

Nella Bibbia i numeri hanno un significato evocativo, che ricorda fatti e persone della storia lontana o recente. A noi, che cosa ricorda?

  • 72, mamme comprese, sono all’incirca i bambini e ragazzi che nello scorso mese di ottobre sono stati operati alla clinica di Gighessa e che proprio in questi giorni, alla spicciolata, se ne tornano verso le loro terre, in ogni parte d’Etiopia. Per la maggior parte non sono cattolici, molti neanche cristiani, ma tutti sono riconoscenti e desiderosi di raccontare a casa la speranza che i “ferenji doctoroch” hanno riacceso nella loro vita. I più piccoletti certo non faranno grandi discorsi, ma è la loro stessa vita, il loro stesso corpo a testimoniare.
  •  72, uno più uno meno, sono gli ospiti che dall’Italia ci hanno visitato quest’anno, mai così numerosi in passato. Anche questo avrà un significato, ne siamo certi. Persone molto diverse tra loro, dai dottori agli scouts ai seminaristi... tutti ci avete donato qualcosa della vostra vita, e tutti ve ne siete ora tornati verso la vostra terra, alla vita quotidiana. Uguali a prima? Siamo certi di no. Cosa è cambiato? Sicuramente c’è un modo diverso di valutare le cose di ogni giorno, una esperienza emotivamente molto forte... ma non solo. Tutti avete ricevuto da Gesù una nuova chiamata ad essere missionari, a precederlo.

In questo Natale, tutti siamo chiamati ad andare avanti, in posti dove Gesù sta per recarsi. Gesù per Natale vuole arrivare dappertutto, lo sappiamo. Anche se c’è già stato, vuole ritornare per fare qualcosa di nuovo.

  • Vuol ritornare nella mia famiglia, e ha bisogno che io gli prepari un posto in casa, magari spostando un po’ la TV e eliminando una qualche cambiale, mutuo o rateizzazione che mi sta riempiendo la casa ma prosciugando il cuore, oltre che il conto in banca.
  • Vuol ritornare nel mio ufficio, dove ogni giorno devo ossequiare il “capo” e dargli ragione, anche quando dentro di me mi ribello a scelte che calpestano le persone, e sempre le più deboli.
  • Vuol ritornare nel mio ambulatorio, laboratorio, officina, campo, negozio o aula di scuola, dove si fa fatica a condividere qualcosa al di là dei rapporti professionali.
  • Vuol ritornare nella mia sagrestia, dove mi preparo alla Messa col pensiero che già corre agli impegni che mi attendono al termine della celebrazione.

Gesù ci manda davanti a lui. Non solo gli  Apostoli, ma tutti quanti.
La fede, se non è missionaria non è fede. 
Allora:

  • O sono missionario, o non sono un marito cristiano
  • O sono missionaria, o non sono una madre cristiana
  • O sono missionario, o non sono un lavoratore cristiano
  • O sono missionario, o non sono un prete cristiano

Non tutti partiamo per chissà dove, come del resto i nostri ragazzi operati a Gighessa difficilmente si allontaneranno ancora dal loro villaggio. Tutti però siamo chiamati ad avere un cuore universale, davvero aperto e disponibile ad ogni chiamata, ad ogni possibilità. Essere missionario o missionaria significa fare un passo per andare incontro ad ogni uomo e ogni donna, di ogni razza e lingua, con la sua storia e cultura, anche se è lui/lei che ha già fatto la maggior parte del tragitto. Proviamo a spiegarci.

Tutti sappiamo che chi va in missione “oltremare” deve perdere tempo a studiare la lingua locale per essere più vicino alle persone, anche se loro capirebbero l’italiano o l’inglese. Allora chi di noi non può (per ora!) partire per la missione, perchè non impara qualche parola di arabo, albanese, russo o swahili per essere missionario rimanendo in Italia? Servirebbe a poter perdere un po’ di tempo incontrando le persone, andando incontro a loro e ascoltando dal vivo le loro storie. Anche tanti conflitti culturali ne sarebbero attenuati: è difficile considerare nemico uno che parla la tua lingua nativa.
Questo è il passo più importante; poi prendere l’aereo e lasciare l’Italia diventa facile.
Qui come altrove, la vera sfida è mostrare con la mia vita l’amore di Gesù Cristo. Prima che di una organizzazione benefica o educativa, prima che di una chiesa, c’è bisogno di una testimonianza di vita credibile.

  • La gente intorno a me pensa che nella vita non ci sia un senso, una speranza. La mia missionarietà è mostrare con la mia vita che nell’amore di Gesù si può trovare una vita buona e bella allo stesso tempo.
  • La gente intorno a me pensa che la religione cattolica dica solo dei NO alle poche gioie della vita. La mia missionarietà è preparare la strada, con la mia vita, a Gesù Cristo che libera, dà gioia, dà il coraggio di rinunciare a qualcosa dell’oggi per pensare a chi ci sarà domani dopo di me. Sono figli di tutti noi, e non vorremmo passare alla storia come la generazione più egoista.

 

In questi giorni abbiamo sentito alcune testimonianze in una Missione del Kenya.

  • Una famiglia con 10 figli era andata in Missione a chiedere di poter adottare un bambino. In quei giorni era stato trovato un bambino cerebroleso. Il missionario chiese loro se, oltre al bambino che volevano adottare, potevano tenere questo bambino ammalato per alcuni giorni, in attesa di trovare una ‘sistemazione presso un orfanatrofio’. “Non per alcuni giorni - fu la risposta -, ma lo terremo con noi per sempre”. Dopo un anno la famiglia ritornò. “Forse si saranno stancati”, pensò il missionario. “Padre - dissero - siamo qui per ringraziarla del grande dono che ci ha fatto; questo bambino ha cambiato la nostra vita. Ora siamo diventati tutti, noi genitori ed i nostri figli, più generosi ed attenti agli altri”.
  • Una ragazza disabile di 17 anni era stata trovata chiusa in casa sua. In quegli anni non era mai uscita di casa, era stata picchiata, abusata, aveva partorito un bambino ed ora il suo carattere era molto scontroso. Non volendo abbandonarla, la missione cominciò a cercare una famiglia del vicinato che potesse adottarla. Era il Giovedi Santo. Trovata una famiglia, dopo aver spiegato la situazione della ragazza, la risposta fu sorprendente. Il padre di famiglia disse: “Non abbiamo problemi ad adottarla: abbiamo cibo, sapone e molte figlie che potranno seguirla. Se a voi va bene, lei può entrare subito nella nostra famiglia”. La madre aggiunse: “Questa ragazza è la benvenuta. Siamo vicini a Pasqua e noi crediamo che lei è il Signore Risorto che è venuto a visitarci”.

Da queste persone del ‘terzo mondo’ ma dalla fede semplice e profonda possiamo imparare cosa significa essere cristiani, aperti a tutti e missionari.
Così davvero può essere Natale. Così Gesù può nascere e arrivare in posti nuovi dove non è mai stato davvero.
C’è un ultimo numero da ricordare: 1172.
È il numero di copie di questa lettera che abbiamo spedito dall’Etiopia. Una è quella che hai tra le mani.  Fai in modo che non rimanga inutile: oggi stesso inizia la tua missione.

Grazie.
A tutti voi auguriamo un Buon Natale. Anzi, un Natale Missionario.

Abba Matteo, Abba Vito, Abba Gianfranco, Abba Eyhasu, Diacono Joseph
Sr. Assunta, Sr. W.Gabriel, Sr. Abrehet.
Sr. Abbebech, Sr. Marta, Sr. Almaz, Sr. Birke, Sr. Meseret.