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Papa Francesco in Myanmar / Birmania

Da poche ore si è concluso il viaggio di Francesco in Myanmar. Per quel poco che ho potuto seguire mi è sembrato, ancora una volta, molto ricco e interessante, per i gesti, gli incontri, le parole, le presenze. Tra le molte riflessioni che meriterebbero di essere svolte, ne propongo solo una, che risulta pertinente se è vero ciò che essa suppone.  Nei discorsi ufficiali, Francesco ha più volte richiamato il dovere di rispettare ogni persona, ogni gruppo umano, ogni nazione, ecc. Si è capito in più di una occasione che il Papa voleva riferirsi alla drammatica, tragica situazione del popolo Rohingya, una etnia da secoli presente in Birmania, ma che, negli ultimi tempi, soprattutto a causa di gruppi politicamente influenti di monaci buddisti (il buddismo è la religione del 90 % dei birmani), è sottoposto a vessazioni di ogni genere, che recentemente ha causato una emigrazione di massa verso (ed ecco un nuovo paradosso) uno stato sì mussulmano ccome i Rohingya, ma estremamente povero, eppure in qualche modo accogliente: il Bangladesh. Ed ecco il punto: stante la spaventosa situazione di questi islamici costretti a fuggire, il papa non ha citato (ripeto: mi pare, salvo errore) le sofferenze e le persecuzioni alle quali sono stati sottoposti dallo stesso regime birmano i cristiani, cattolici compresi. E non lo ha fatto esplicitamente neppure quando si rivolgeva ai soli cattolici. Mi sono chiesto: perché? Francesco non poteva non saperlo; ricordo personalmente i racconti terribili di un missionario del PIME di Milano che aveva incontrato un gruppo di giovani, tra i quali il sottoscritto. Ho conosciuto una donna il cui figlio era appunto missionario in Birmania; impossibile avere notizie, o forse meglio non averne. Dunque perché non si sono ricodati ad alta voce i nostri martiri? Non mi sembra plausibile pensare che improvvisamente Francesco è diventato un sottile diplomatico, troppo tardi per la sua età. Ho pensato allora un'altra risposta. Forse il papa ha volutamente accomunato islamici e cristiani, trovando nel vangelo delle beatitudini (e dove d'altra parte) il comune denominatore: Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Quando si è dentro la beatitudine le differenze sono riconcliate in colui che le ha proclamte e in coloro che le vivono. A questo pnto i nomi e le appartenenze possono passare in seconda linea, perché risplenda la verità universale della buona novella di Cristo, e tutti riconoscano che un frammento di pace non solo è possibile, ma è già stato prodotto da alcuni uomini e donne! Forse il papa ci ha indicato proprio questo.