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Dio è indicibile?

Scrive Claudio Magris sul Corriere della Sera di oggi (pag. 2):"Proprio perché Dio è indicibile - ed è patetico ed empio volerlo definire, possedere, farsene rappresentanti ufficiali o interpeti autorizzati, parlare a suo nome - il nostro compito è parlare non dell'infinto ma delle piccole o grandi, buone o cattive cose in cui esso vive e si nasconde, dalle difficoltà casalinghe all'euro o alle pensioni. La preghiera, è stato detto, è attenzione, attenzione amorosa, rigorosa e silenziosa alle cose".

Certo discorsi enfatici e privi di modestia sono stucchevoli e possono allontanare l'uomo da Dio. Ma mi chiedo su quale base si può perentoriamente affemare - come scrive Magris - che Dio è indicibile: Dio non potrebbe disporre della libertà di diventare dicibile? E addirittura di affidare a uomini e donne suoi testimoni (a partire per esempio da Gesù) di parlare in suo nome? E siccome Dio può nascondersi (o rivelarsi) nelle piccole cose, non sarebbe possibile parlare delle cose piccole e grandi, buone o cattive proprio nella luce di Dio che ci parla?

Se questo è possibile, la preghiera diventa anzitutto attenzione a Dio che parla e si dona, ascolto che spontaneamente diventa dialogo nel quale trovano casa la cose dell'uomo, il finito abbracciato dall'infinito.

Chi sa ascoltare

Probabilmente nulla vieta a Dio di disporre della libertà di diventare
dicibile. Ma forse, affermare “perentoriamente” che Dio è indicibile, mi
sembra un buon tentativo di “proteggere” Dio e chi lo cerca dalle parole
presuntuose degli uomini. Chi vuole e sa ascoltare, trova Dio certo non
nelle parole.