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Violenza in famiglia

Ciao a tutti, vorrei introdurre un nuovo argomento di discussione, che è più che mai attuale: le violenze familiari. Se uno segue un qualsiasi TG, o legge un qualsiasi quotidiano, quasi ogni giorno apprende almeno una notizia di qualche strage familiare appena consumata. A questo proposito, segnalo anche che proprio nel Mantovano, a Borgoforte, l'altro ieri vi è stato un delitto in famiglia: un pensionato ha colpito la moglie con una coltellata, e poi, una vorta tornato lucido e resosi conto di cosa aveva fatto, si è tolto la vita impiccandosi. A quanto mi risulta, la donna è tuttora ricoverata in fin di vita. Questo fatto di cronaca è stato riportato non solo dai quotidiani locali di Mantova, ma anche dalla Stampa, tanto era ecclatante, ed è comparso un articolo che spiegava con dovizia di particolari la tragedia. Io ho letto proprio l'articolo della Stampa. Ma non è mia intenzione entrare nei dettagli, volevo solo ricordare questo episodio in quanto accaduto nella nostra provincia. Vorrei invece cercare di analizzare il fenomeno, che sempre di più assume le dimensioni di una piaga sociale: stando a quanto riportato da alcuni quotidiani, i delitti in famiglia supererebbero infatti quelli di stampo mafioso. Madri che ammazzano i figli, mariti che ammazzano le mogli e/o i figli, ma anche figli che ammazzano i genitori, oppure litigi violenti tra generi o suocere: negli ultimi anni si sono verificati numerosi episodi di questo tipo. Dobbiamo concludere forse che non ci si può proprio fidare di nessuno, nemmeno delle persone più vicine, di quelli con cui condividiamo la nostra vita quotidiana? Dobbiamo rivalutare il vecchio detto che suona "parenti serpenti"? O bisogna cominciare a chiedersi se la famiglia talvolta, invece che essere il luogo della solidarietà e del sostegno reciproco, non diventi una trappola, una specie di prigione, da cui bisogna liberarsi per non essere più oppressi? Mi sembra del tutto normale, addirittura ovvio, che possano esserci degli screzi, nascere dei contrasti, ma addirittura fino al punto di trasformare una persona in un carnefice? Quanta oppressione, infelicità, frustrazione, si nasconde dietro un gesto così drammatico e definitivo? Sottolineo che la cronaca è ricchissima di episodi del genere. Alcuni di questi delitti vengono commessi con inaudita ferocia, con crudeltà estrema, quasi fossero maturati copo un lungo calvario. Ricordate, ad esempio, Pietro Maso? Il caso a dir la verità non è recentissimo: lo descrivo in breve per chi non lo avesse presente. Nel 1991, in un paese del Veronese, l'allora diciannovenne Pietro Maso massacrò i genitori a martellate, con l'aiuto di altri tre complici. La stampa, nel tentativo di fornire una spiegazione, disse che Pietro desiderava i soldi dei genitori per fare la bella vita, e i genitori non volevano dargli i loro soldi. Ora, posto che non è possibile spiegare razionalmente un gesto così, non verrebbe da pensare che dietro questa follia potesse esserci una situazione di estrema tensione e conflittualità tra i membri di quella famiglia? O semplicemente Pietro Maso era un disgraziato che desiderava certe cose materiali, e cercò di ottenerle eliminando fisicamente gli ostacoli? E che dire di tutte quelle madri che uccidono i loro piccoli? Sono delle depresse, delle frustrate, o semplicemente delle idiote totali? E gli uomini che ammazzano moglie o figli? Quanta frustrazione si portano dietro un simile delitto? Non si può certo esaurire in breve la questione, ma sarei curioso di sapere le vostre opinioni in merito: io, sinceramente, non so più in che mondo sono. 

Considerazioni del gruppo di ragazzi di 3 e 4 Superiore

In merito all’argomento trattato, questo è quanto emerso dal confronto tra i ragazzi di 3 e 4 superiore.
 
Ogni giorno, purtroppo, veniamo a conoscenza di una nuova strage in famiglia.
Chi compie atti così spregevoli non accetta l’altro come essere umano e non lo considera una persona degna di vivere.
Sono persone prive di umanità che si accaparrano il diritto di togliere la vita ad altri simili, che per di più sono loro parenti stretti.
Non viene riconosciuto il valore sacro della vita.
Anche da questo desumiamo la bassezza dell’uomo.
Un essere umano senza regole, senza morale, che va contro le leggi di Dio. “Non uccidere”; “Onora il padre e la madre”; “ Ama il prossimo tuo come te stesso” sono alcuni tra i principi e comandamenti fondamentali che sorreggono tutta la nostra esistenza.
 

Le persone che compiono questi atti sono spesso individui soli.Non hanno la possibilità o la voglia di confrontarsi e sfogarsi con coetanei, conoscenti o persone che potrebbero aiutarli.Così i problemi aumentano ed oltre ad essere ostili nei confronti di sé stessi, saranno intolleranti anche con le persone che li circondano.In casi estremi si manifesteranno episodi tragici.

 
Questi fatti avvengono in maniera costante e sono raccontati con dovizia di particolari dai telegiornali e dalla stampa. Nella società odierna perciò si possono ricevere impulsi anche molto forti che potrebbero andare a  ledere le persone fragili che non possiedono i principi e i valori fondamentali della famiglia.

Infatti per qualche squilibrato può esserci anche il rischio di emulazione.
 

La domanda ultima da porci è: “Che fine hanno fatto i valori  basilari su cui dovrebbe appoggiarsi la nostra famiglia?".

(* Bertoli, DJSimon, S., Squasso, Linda(catechista)* )

 
 
 
 
 

persone sole?

In che senso i parenticidi (molto probabilmente questo termine in italiano non esiste, lo invento io per indicare tutti coloro che uccidono un congiunto) sono persone sole? Forse nel senso di una solitudine interiore, nel senso che hanno perso ormai ogni speranza di una vita normale, di una vita piacevole. Si sentono disperate, oppresse dal vuoto, e finiscono per perdere ogni interesse nei confronti della vita. Perché uno che uccide, e che lo fa a quei livelli, io credo che non possa che aver perso interesse nei confronti della vita. Non può pensare di salvarsi. In primis lo tormenterà per sempre il rimorso per quello che ha fatto, e in ogni caso non potrà sottrarsi alla giustizia, perché assassini non ci si improvvisa. Chi fa questo è un uomo finito, comunque vadano le cose. Da tutti questi episodi (e torno a dire ancora una volta che sono davvero  numerosi, e negli ultimi tempi immancabilmente la cronaca ce ne ha presentati ancora parecchi) io deduco una grandissima infelicità e un grossissimo malessere e disagio che colpisce noi uomini. La frustrazione, il malcontento, l'inappagamento dei propri desideri sono evidentemente la regola nel nostro mondo, e rendono talmente sgradevole la nostra esistenza che ogni tanto c'è qualcuno che non ce la fa più, arriva al limite della sua sopportazione e perde completamente la speranza, e allora si lascia andare fino a questo punto. Penso anch'io che molti dei parenticidi avvertano questo senso di solitudine, ma con questo termine si deve intendere proprio la solitudine interiore di cui ho appena parlato. 

la questione che poni

La questione che poni sul tappeto interroga tutti. 
La violenza in famiglia... conflitti che non trovano soluzione ne' conciliazione finendo per sfociare in atti di una ferocia indicibile e apparentemente inspiegabile. Non so se e quanto sia un fenomeno dei nostri giorni. La storia dell'uomo mi pare da sempre segnata da una profonda incapacità nel gestire i conflitti col dialogo e da una sistematica tendenza a sopprimere e rimuovere i "nemici di turno". Forse una prima novità sta piuttosto nel fatto che oggi questi eventi sono "mediatizzati" all'infinito divenendo immediatamente e per lungo tempo argomento di programmi televisivi, analisi e disamine di ogni sorta. Personalmente cerco di chiamarmene fuori: ogni singolo dramma cela una propria storia che credo dovrebbe essere approfondita con grande delicatezza esclusivamente in forma personale, evitando dunque processi sommari mediatici. Come anche il caso giudiziario dovrebbe restare confinato nell'ambito di un normale processo volto a tutelare persone e famiglie già sufficientemente ferite, evitando di sfociare in un vero e proprio processo pubblico con sentenze emesse dalla gente (a quando la sentenza con televoto??) sulla base di sentito-dire o delle dritte del criminologo o del conduttore avvoltoio di turno.
Ma tralasciando per ora questo aspetto, non c'è dubbio che rimangono invece aperte tutte le grandi domande che tu poni. Com'è possibile che certi drammatici eventi abbiano luogo proprio nel cuore delle famiglie, laddove la solidarietà ed il vincolo affettivo e di amore dovrebbero essere più saldi, sperimentati e forti? Com'è possibile che il conflitto, certo ineludibile, non possa quantomeno essere affrontato con gli strumenti di un confronto magari anche duro e franco ma nonviolento? 
L'anima di ogni uomo è insondabile, così come l'abisso del male che vi abita... e trovo il termine "peccato originale" un'efficace sintesi di questo fatto: un'inclinazione continua e quasi irresistibile verso il male, che non possiamo mai vincere alla radice ma solo arginare con un operoso, faticoso e continuo esercizio di fede e di amore. Un esercizio che ha tre grandi direzioni: due orizzontali - verso noi stessi e le persone che ci circondano - e una verticale fatta di preghiera nel tentativo di cogliere i significati più profondi e veri delle cose. 
Peccato che tutto ciò nel nostro mondo di oggi - e anche questa è una vera novità - venga considerato del tutto fuori moda, molto "antiscientifico", poco convincente, superato, politicamente non corretto e pure antieconomico...... 
I modelli vincenti (che sono poi manipolazioni amplificate a dismisura dai media sempre a beneficio dei massimi consumi/profitti delle aziende!!) che convincono un po' tutti sono altri: sono modelli tutti orientati al soddisfacimento di ogni minimo desiderio, all'autosufficienza da tutto e da tutti, al successo, al culto dell'immagine a tutti i costi, alla negazione della fatica e della sofferenza, dell'invecchiamento e persino della morte, e ovviamente alla negazione di Dio (pare sia prevista a breve una puntata a "Chi l'ha visto?")... normale che ci si senta terribilmente frustrati nello sperimentare che la vita quotidiana reale è tutt'altro. 
Ci si riscopre invecchiare, soffrire, dibattersi in esperienze di vita e di lavoro spesso limitate, dentro famiglie distanti dai modelli sorridenti e plastificati dei telefilms e magari con una pericolosa tendenza verso le famiglie confuse, iperallargate e fortemente psicotiche che animano sempre più le fictions... la confusione del cuore e dell'anima aumentano, anzi aumentano a dismisura... e quando la vita colpisce per davvero c'è il rischio di non trovare più dentro di se' e intorno a se'  le risorse per fronteggiare o quantomeno per accettare prove e difficoltà. E la violenza, anche folle e smisurata, per un attimo pare la drastica soluzione dei problemi. Quando invece è solo l'anticamera di un abisso senza più fine...

Non saprei darti torto,

Non saprei darti torto, relativamente al fatto di restare disingannati nel vedere come la vita reale sia così distante da quella idealizzata dai media. Resta comunque da sottolineare un aspetto che, secondo me, tu hai trascurato: non è che magari quello che tu dici che i media propongono sono i desideri che ogni essere umano ha dentro di se? Chi non desidera vivere una vita perfetta, chi non desidera poter fare quello che gli pare senza che altri vengano a guastare le uova nel paniere? In fondo non sembrerebbe di chiedere tanto: "io non voglio disturbare nessuno, desidero solo che si rispetti il mio diritto di vivere come ne ho voglia, così come io rispetto questo diritto degli altri. Tu sei libero di vivere come credi, purché non mi danneggi, dunque lascia anche me libero in questo modo. Ciò non mi impedisce di darti una mano, se tu me lo chiedi, e nemmeno di farti dei favori, qualora tu ne avessi bisogno. Ma, come lo fai tu, anch'io desidero poter disporre di me come desidero. In fondo, non ho chiesto io di venire al mondo." Credo che questo desiderio recondito potrebbe essere espresso, più o meno, in questa forma. Ma la vita reale è ben lungi dall'essere così. Nei primi anni vi è la scuola, la quale sappiamo tutti quanto stress comporta:  professori che ti caricano di compiti, e che ti assediano se una sola virgola non va bene; genitori che pretendono il massimo, 10 e lode ovunque. Tutti i giorni un'interrogazione, un compito, se non di più, con tutta l'ansia che ne consegue. Poi, quando si è quasi sui 20 anni, la scuola finalmente termina, ma non termina certo lo stress: se uno fa l'università si ritrova a vivere in maniera non molto difforme rispetto alla scuola, ma uno può anche andare a lavorare. E fortuna che ora è stato abolito il servizio militare/civile obbligatorio, poiché questo aggiungeva stress a stress. Se uno va a lavorare, cosa trova? Non avendo ancora iniziato a farlo, non posso giudicare con cognizione di causa, ma suppongo che lo stress vi sia sempre: se tu non fai le cose come qualcun altro vuole che tu le faccia, ciao ciao, lo stipendio lo vedi volare, e senza soldi di che diavolo vivi? Tutto quanto detto sinora, poi, dando per scontato che la persona sia sana, e che dire invece di chi è malato, e magari grave, e per poter sopravvivere deve fare magari delle cure massacranti? Questa è la vita reale, altro che fare quello che ne ho voglia senza rotture di scatole. E' proprio l'opposto rispetto ai desideri reconditi, che a prima vista apparirebbero così legittimi. Ecco allora che un individuo si sente frustrato, come dici tu, prova rabbia e avvilimento, nel vedersi negata la condizione di vita ideale. In effetti la violenza potrebbe essere vista come uno sfogo, una ribellione a questa condizione reale così opposta rispetto a quella ideale. E siccome i familiari sono le persone con cui condividiamo la maggior parte del nostro tempo, ecco trovato su chi scaricare la nostra frustrazione. Che ne dici di un'analisi come questa? Io credo che questa contrapposizione tra vita ideale e vita reale può stare alla base di molti degli indegni episodi che continuamente si verificano.

paradossi?

Bell'intervento, ben giocato sul filo di un sottile paradosso...

...l'argomentazione parte da un primo quesito che da' il segno a tutto l'intervento:

"Chi non desidera vivere una vita perfetta, 
chi non desidera poter fare quello che gli pare?"

A seguire si ipotizza un diritto: "...desidero solo che si rispetti il mio diritto di vivere come ne ho voglia..." che implicherebbe una totale facoltà di disporre della propria vita: "...desidero poter disporre di me come desidero...".
A parziale sostegno di questa tesi è posto in evidenza come: "...in fondo, non ho chiesto io di venire al mondo".
Questo diritto invocato pare invece di fatto negato dalla progressiva scoperta di quanto la vita sia dura (il cosiddetto "stress" dei vari impegni, della malattia, etc.): "Questa è la vita reale, altro che fare quello che ne ho voglia senza rotture di scatole. E' proprio l'opposto rispetto ai desideri reconditi, che a prima vista apparirebbero così legittimi.".

Da questa dicotomia ecco scaturire una rabbia ed un avvilimento pronti a trovare sfogo in una ribellione anche violenta.

Questa, in estrema sintesi, l'argomentazione. Che nella sua paradossalità mi pare estremamente utile per cogliere i riferimenti del problema.

Ma... dove si origina il paradosso? Nell'assumere presupposti falsi (pur se diffusamente, non senza una certa superficialità, ritenuti convincenti) e a partire da questi sviluppare un ragionamento "coerente".
Quali i presupposti falsi? Beh... ripartiamo dall'inizio.
Intanto direi che non esiste alcun "diritto a vivere come se ne ha voglia": e difatti nessun Dio, nessuna religione, nessun ordinamento laico e civile lo hanno mai teorizzato ne' sancito.
Quanto al: "desidero poter disporre di me come desidero", è piuttosto chiaro che si tratta di un desiderio senza troppo fondamento teorico ne' pratico. Sempre si dipende da altri/altro: persone, eventi, situazioni, relazioni, vincoli.
Addurre poi come giustificazione il fatto che: "non ho chiesto io di venire al mondo" è ovviamente altrettanto sviante: il dono della vita (certo spesso dura, impegnativa e dolorosa), gratuitamente ricevuto, ci dovrebbe piuttosto spostare da una prospettiva di possesso ad una dimensione di dono tutto da accogliere e far fruttificare.

E così "stress" e "malattia", fastidiosi, sgraditi e avvilenti incidenti di percorso nella prima prospettiva, dovrebbero essere piuttosto letti quali ingredienti a pieno titolo costitutivi di quell'impasto complesso che è la vita. Tanto quanto la gioia, la soddisfazione, l'entusiasmo, la passione, l'impegno. E d'altronde non si può conoscere la gioia senza la fatica, non esiste l'amore senza l'impegno, non esiste la relazione senza la fedeltà (che poi è ancora impegno), non esiste riposo senza sudore, vacanza senza lavoro, etc.
E la vita, la vera vita, altro poi non è se l'impasto ricco e quanto più possibile saporoso di tutti questi ingredienti, mescolati in dosi che solo la saggezza della vita, sempre da ricercare, permette in qualche modo di preservare dal caos e dalla casualità.

Ma l'argomentazione, sottilmente proposta, riflette il pensare comune e riscuote moltissimo successo... strano ma vero ???

I desideri maleducati e la grazia degli altri

Da tempo desideravo intervenire nel forum lanciato da Tomi e proseguito da Leo; passate le feste natalizie, ci provo. Poiché evidentemente infiniti sono gli elementi che determinano la realtà della sofferenza umana, e di quella familiare in specie, tento di evidenziarne solo due.

I desideri umani sono un motore molto importante della vita e della libertà, come della progettualità individuale e collettiva. Ma i desideri, specie nella nostra cultura che potremmo definire della soddisfazione industriale dei desideri (senza troppe distinzioni tra di essi) restano molto indistinti e vaghi finché non sono messi alla prova dalla vita reale. I desideri non ben coltivati diventano come bambini capricciosi, che in fondo non sanno cosa vogliono. Suggerisco pertanto di accettare di buon grado la prova della realtà: non fosse altro che per identificare  e maturare i propri desideri, ossia in fondo noi stessi. Un desiderio educato diventa volontà libera, un desiderio maleducato si rinchiude nel sogno, e finisce per scontrarsi: con la realtà, ma più ancora con gli altri, e infine con se stessi. Voglio dire che non credo che la parte migliore di noi stessi sia nei sogni... (ma in quello che suggerisco tra poco).  Questo invece oggi mi sembra un tratto importante dei modi di vivere degli adulti, e quindi dei giovani.

Inoltre il nostro confronto con gli altri inizia troppo spesso con un presupposto scontato: io sono (quasi) perfetto e non capisco perché tanti vengono a disturbarmi e a chiedermi continuamente qualcosa. Certo c'è lo stress da prestazione (anche tra i preti, caro Tomi), e ci sono delle persone che avanzano richieste impertinenti, che vanno moderate. Eppure il fatto di partenza è un altro. Meravigliamoci almeno un pò delle tante, tantissime persone che si sono disturbate per noi, che si disturbano per me ogni giorno ... questo è un pianeta (o meglio una galassia) tutto /a da scoprire. La scoperta sottrae parecchio tempo alle nostre lamentele, e libera energie positive di incontro, confronto, disponibilità. Con una battuta, i cosiddetti altri (un termine che devo scoprire perché mi piace sempre di meno) non sono proprio là fuori, sono vicini, e per questo in fondo devo ringraziarli; sono più una grazia che una prova. O se preferite, sono una grazia che ci mette alla giusta prova. Buona notte o buon giorno alla lettrice / al lettore