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Il miracolo di San Vincenzo Ferrer

Il miracolo di San Vincenzo Ferrer

IL MIRACOLO DI SAN VINCENZO FERRER

Nel lontano novembre del 1813 furono, come si è detto, trasferite in Sant’Egidio dalla vicina chiesa di San Vincenzo Martire, che faceva parte del soppresso convento delle Domenicane, oltre al Martirio di san Vincenzo levita altre tre grandi tele: il Miracolo di san Vincenzo Ferrer e la Madonna del Rosario, che appartenevano a due altari ”bassi”, e la Deposizione con il cardinale Ercole Gonzaga, che si trovava nel coro interno delle monache. Tutti vennero accolti temporaneamente in canonica, in attesa di una più consona sistemazione.
Diversamente dal Martirio, che non abbandonò mai il presbiterio in cui era stato allogato, le due tele con il Miracolo e la Madonna del Rosario subirono, a quanto par di capire dalle notizie offerte sia dal Susani che dal Rosso, vari trasferimenti: dalla canonica al presbiterio (e qui li vide il Susani che li elencò nella sua “guida” del 1818); certo ancora in canonica durante i lavori di posizionamento del nuovo altar maggiore e del pavimento in marmo, e cioè dalla fine degli anni ’20 almeno ai primi anni ’30 (infatti il Susani non li nomina nelle edizioni successive della “guida” 1831,ss., compresa quella rimasta manoscritta; si noti che l’iscrizione di Giovanni Labus, nel mezzo della chiesa, a ricordo dell’antico sepolcro di Bernardo Tasso, padre di Torquato e anch’egli poeta, è del 1833); successivamente sulle pareti della navata fino al 1848 e poi di nuovo quasi sicuramente in canonica (le parole del Rosso, nei suoi Cenni del 1852, in verità non sono molto chiare). Risultano nuovamente in presbiterio solo nell’inventario del 1939: dovrebbero esservi state poste in via definitiva dopo i restauri di fine Ottocento (di cui parla l’iscrizione del giugno 1900, a sinistra dell’ingresso della chiesa, sopra la porta che conduce all’oratorio).
Il Miracolo di san Vincenzo Ferrer si trova sul lato destro della parete del presbiterio. A olio su tela, misura m 2,28 x 1,35. Fu dipinto nel 1773 (Bartoli, 1779 ca.) da Giovanni Bottani (Cremona, 1725 – Parma, 1804), fratello minore di Giuseppe, con il quale assiduamente collaborò e che seguì nel suo trasferimento a Mantova (1769). Alla scomparsa di lui (1784), subentrò nella direzione della sezione di pittura presso l’Accademia di Belle Arti. Dal 1781 prese parte ai restauri pittorici di Palazzo Te, voluti dal governo austriaco.
Accusato dalla critica, anche recente, di scarsa autonomia creativa rispetto al fratello, del quale avrebbe pedissequamente accolto invenzioni e suggerimenti stilistici (Susinno, 1983), nella tela ora in Sant’Egidio mostra in realtà una sua personale visione pittorica, indipendente e in certo modo anticipatrice in senso storicistico.
Il soggetto del dipinto, tratto dal racconto agiografico della vita del santo e riferito ad un episodio che, tranne che per il lieto fine, sarebbe degno di una tragedia greca (il santo avrebbe fatto rivivere un bimbo che la madre, improvvisamente impazzita, aveva offerto in pasto al marito, e rispettivamente padre; Réau, 1959), viene interpretato dal pittore con estrema sobrietà e profonda partecipazione, senza indulgere in particolari raccapriccianti e nello stesso tempo senza irrigidire immagini e sentimenti in astratte formule ideali.
La ricostruzione storica del miracolo, ambientato in uno scenario cinquecentesco di maniera, probabilmente mutuato dal teatro contemporaneo, non è certo filologicamente ineccepibile (il santo domenicano, spagnolo, visse a cavaliere tra il 1300 e il 1400), ma concorre a dare credibilità ai personaggi, così come l’equilibrata impostazione dei volumi, la nitidezza del segno, l’accurato e prezioso dosaggio dei colori (si vedano le figure a sinistra, dietro il santo, e le vesti della donna) e delle luci: queste ultime volte ad evidenziare, dietro la quinta d’ombra formata dal padre in primo piano, l’atto del santo e, nel fondo, lo scorcio del palazzo in prospettiva, per accrescere lo spazio in profondità.

Maria Giustina Grassi