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Il martirio di San Vincenzo levita

Il martirio di San Vincenzo levita

IL MARTIRIO DI SAN VINCENZO LEVITA

1° novembre 1813: forse una delle tante giornate piene di nebbia, come ci riserva l’autunno della nostra città, o forse rischiarata da un pallido sole, preludio alla breve estate di San Martino. C’è un certo via vai tra la chiesa di San Vincenzo Martire e la vicina Sant’Egidio: dopo vari rimandi e contestazioni (ASD Mn, Protocollo generale) la chiesa del convento delle Domenicane, ridotta a magazzino militare dal governo francese – quello austriaco non farà che confermare le disposizioni – deve essere evacuata e parte degli “effetti” e dei preziosi dipinti viene trasferita nella parrocchiale. In seguito verranno smantellati gli altari, i cui marmi, come quelli dei pavimenti – i Cenni di Luigi Rosso (1852) informano – verranno pure incamerati in attesa di essere reimpiegati per nobilitare l’interno della nuova sede, nella quale da tempo fervevano lavori di ristrutturazione promossi del rettore Girolamo Fontana.
Tra i dipinti, in tutto quattro, il primo ad avere una sistemazione immediata è il Martirio di san Vincenzo Levita, che passa dall’altare maggiore di San Vincenzo a quello di Sant’Egidio, prendendo il posto della meno celebrata Santa Lucia (che era stata incamerata nel 1782, alla soppressione della vicina chiesa del convento delle Clarisse francescane).
Gli altri, il Miracolo di san Vincenzo Ferrer, la Madonna del Rosario e la Deposizione con il cardinal Ercole Gonzaga, vengono accolti temporaneamente in canonica.
I restauri avviati dal Fontana, che avevano interessato soprattutto il coro, terminarono a detta del Rosso nel 1817: ne fa fede anche un’iscrizione un tempo sul muro esterno della chiesa, da lui puntualmente trascritta. Certo coinvolsero anche il vetusto altar maggiore ligneo, poiché il Susani testimonia la sistemazione del Martirio non più su di esso, ma “in mezzo al coro” (1818). E qui, una volta rimpiazzato il vecchio altare con quello in marmo di San Vincenzo, che fu consacrato dal rettore Ottaviano Bellotti nel 1828 ( secondo un’altra iscrizione tramandataci sempre dal Rosso), la grande pala è rimasta fino ai nostri giorni.

Il Martirio di san Vincenzo Levita, ad olio su tela, è di imponenti dimensioni (m 5 per 3,50). Fu dipinto da Giuseppe Bottani (Cremona 1717 – Mantova 1784), che, come per lo più soleva fare, lo firmò e lo datò: “Joseph Bottani ping. Mantuae A.D. 1776” (la scritta si legge in basso, a destra).
Vincenzo, diacono (levita) di Saragozza, dopo una vita spesa al servizio della fede, subì il martirio durante la persecuzione di Diocleziano. Dopo diversi tormenti, fu bruciato come san Lorenzo su una graticola, ma irta di punte acuminate. Celebrato da Sant’Agostino e dal poeta Prudenzio, è patrono dei naviganti e dei vignaioli (Réau, 1959).
Il Bottani lo raffigura mentre serenamente affronta il martirio, con la veste immacolata raccolta intorno al corpo e la stola rossa, simbolo del suo ufficio sacerdotale, avvolta attorno al braccio sinistro, circondato da aguzzini e da soldati in armatura. Dall’alto scendono angeli e cherubini a portargli la palma e la corona.
Una scena drammatica, ma ben orchestrata ed equilibrata, sullo sfondo dei muri nudi di un carcere al di là dei quali, in profondità, si scorge attraverso una finestra lontana uno scorcio luminoso di cielo.
Le anatomie impeccabili dei corpi, la precisione del segno spinta fino all’ultimo dettaglio, l’armonia del colore e l’espressione calibrata dei sentimenti fanno del dipinto uno degli esempi più alti di quella corrente classica romana alla quale il suo autore appartenne e che, da lui introdotta a Mantova, presto venne affermandosi soprattutto fra le giovani leve. Il Bottani infatti, cremonese, ma educatosi a Roma, seguendo il Batoni, sui capolavori del Reni, del Domenichino e del Maratta, giunto a fama internazionale fu chiamato nel 1769 a Mantova dal conte Carlo di Firmian, dopo la scomparsa dell’estroso Bazzani, a dirigere la sezione di disegno e pittura dell’Accademia di Belle Arti: ad essa diede un’impronta nettamente “moderna”, in correlazione con le tendenze neopalladiane del veronese Paolo Pozzo, professore di architettura dal 1773 (Tellini Perina, 1961 ss.). Ne è testimonianza palese, proprio in Sant’ Egidio la Santa Lucia del viadanese Giuseppe Bongiovanni, prima citata, che si trova al primo altare a sinistra.
Altre opere di Giuseppe Bottani dislocate a Mantova o nelle vicinanze meritano una visita non affrettata: la Sacra Famiglia con i santi Zenone e Stefano (1779), ora sull’altare maggiore della vicina chiesa di Sant’Apollonia (ma proveniente dalla chiesa soppressa intitolata ai due santi, nella quale il pittore fu sepolto), considerata dalla critica la migliore in assoluto del periodo mantovano (Tellini Perina; Susinno 1983); il monumentale San Vincenzo Ferrer in atto di predicare del Museo del Palazzo Ducale, un tempo in San Domenico, come la precedente nata da un accurato studio dei grandi maestri del Cinquecento (Sicoli, 1983); il San Mauro che guarisce un infermo, presente San Placido (1776), posto nella terza cappella di sinistra nella chiesa abbaziale di San Benedetto Po (Tellini Perina, 1981), ineccepibile nell’esecuzione e nella resa cromatica.

Maria Giustina Grassi