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Notizie dalla missione mantovana di Etiopia

Dopo Gighessa l'impegno missionario della chiesa mantovana continua nella parrocchia di LARE (sempre in Etiopia), in una zona molto calda, quella al confine con il Sud Sudan, teatro di guerre e scontri fino a pochissimi anni fa. Ecco l'ultima lettera di don Matteo Pinotti, collaboratore e sucessore di don Gianfranco Magalini.

Notizie da Lare – Etiopia Pasqua 2014

Carissimi,

dopo un po’ di mesi arriviamo finalmente con qualche notizia dalla Missione. Non è un vero resoconto, ma alcuni appunti di cose che stanno succedendo qui e che possono aiutarci a rendervi partecipi di quello che stiamo vivendo.

Rebecca e Isacco

Non parliamo del libro della Genesi, ma di una bisnonna di 70 anni e di un suo pronipote di 7 mesi. Entrambi hanno ricevuto insieme il Battesimo nel giorno di Pasqua nella nostra Chiesa di Lare, appena ripulita e ridipinta.

La celebrazione pasquale del Battesimo di Rebecca e Isacco è stata un momento emozionante per la loro famiglia, ma anche per tutti noi, che in questi mesi abbiamo ammirato la costanza e l’entusiasmo di questa anziana. Ogni sabato pomeriggio Rebecca, sotto il sole cocente, percorreva a piedi i 7 km dalla riva del fiume, dove vive da sola, per raggiungere la missione e seguire la catechesi in mezzo a ragazzini e a giovani mamme. Ed è anche sempre quella più attiva, con domande, osservazioni, aneddoti pertinenti e divertenti che risvegliano gli altri del gruppo, a volte assopiti nella calura pomeridiana. Il piccolo Isacco è figlio di John, un ex studente del nostro ostello, ora impiegato nel settore della sanità e apprezzato da tutti per insolita competenza ed onestà. Insieme a Rebecca e Isacco, altre 3 persone hanno ricevuto il Battesimo e 5 hanno ricevuto la Prima Comunione. Ecco: quando guardiamo alle vicende delle persone, riusciamo a vedere segni di risurrezione e di speranza. E’ più difficile farlo quando si guarda in grande, agli avvenimenti e alle prospettive generali. Dove stiamo andando?

Guerra, rifugiati, approfittatori.

Grazie a Dio, pochi di noi italiani di oggi hanno vissuto direttamente la guerra. Ci è dunque difficile intuire che cosa realmente significhi e tutte le sue conseguenze, anche dopo le sparatorie e i bombardamenti. Certo gli scontri armati sono il primo dramma, tanto più qui in Africa dove si arruolano ragazzini sprovveduti che arrivano dalla campagna e vengono spediti al fronte a sparare a loro coetanei. Noi qui a Lare questa parte della guerra non la vediamo, perché si svolge oltre il confine del Sud Sudan, a qualche centinaio di km da qui. Quello che invece vediamo sono gli occhi dei bambini e delle loro madri che arrivano qui come rifugiati, scappando da quello che hanno visto o sentito raccontare. Sono gli occhi di chi ha l’impressione di vivere un brutto sogno, di chi non si rende ancora conto che tutto il mondo in cui ha vissuto fino ad oggi non esiste più, che da ora in poi sarà sempre straniero ovunque vada. Il loro smarrimento impressiona ancora più del disagio materiale in cui si trovano: a questo si potrebbe porre rimedio, a quello no. E ciò che fa più rabbia è il contorno di persone che approfittano di questa situazione di emergenza pensando ai propri interessi. Ne approfittano le persone che vivono già da anni qui in Etiopia e ora si fanno passare per nuovi rifugiati, iscrivendosi al campo per ottenere una pentola, una coperta, qualche provvista. Ne approfittano i gestori del campo, che non intervengono su questa ingiustizia perché tanto, per loro, più gente si iscrive e più sovvenzioni riceveranno. Che importa se qualche migliaio dei veri rifugiati non potrà ricevere in tempo quanto necessario per sopravvivere. Ne approfittano le autorità e chi fornisce il materiale a queste organizzazioni: quando girano tanti soldi, si sa, nessuno sta a fare troppi controlli su dove vanno a finire. Che importa se ora, a causa del sovraffollamento dei campi e della mancanza di strutture sanitarie adeguate, i bambini piccoli muoiono a centinaia. Anche questo fa parte della guerra.

Vendetta, speranza, riconciliazione

Qualcuno in questi mesi ha soffiato sul fuoco dell’odio razziale per propri obiettivi politici ed economici (il petrolio), ben sapendo che il nostro popolo di etnia nuer ha un fortissimo senso dell’orgoglio e quindi della vendetta per ogni torto subito. Tutto quanto sta accadendo oggi in Sud Sudan è stato deliberatamente voluto e pianificato; le conseguenze dureranno decenni.

Noi quando possiamo chiediamo alle persone di fermarsi, di ragionare e di rendersi conto della assurdità di tutto questo, ma non è semplice. Molti si sentono impotenti rispetto allo spirito di vendetta che impedisce al singolo di usare la sua testa e lo mette in balia del gruppo, dove prevalgono quasi sempre i sentimenti peggiori.

Questa sembra essere la strada della speranza per il futuro: aiutare sempre più persone, specie i giovani, a fermarsi, a riflettere, a informarsi, a capire che cosa è giusto e che cosa no. In questo anche la fede può diventare una grossa risorsa, perché la maggior parte della popolazione del Sud Sudan appartiene a confessioni cristiane. Le diverse chiese, e noi nel nostro piccolo, cercano di dare forza a questi segni di luce e di speranza. Ci sono persone che decidono di fermarsi, di liberarsi dallo spirito di vendetta e di odio per scegliere la via di Cristo, che significa provare a rispettare anche quelli che ci dicono essere i nemici della nostra etnia. Significa non vendicarsi sui parenti di chi ha ucciso un nostro fratello. Significa distinguere tra i diretti responsabili delle violenze e tutti gli altri appartenenti alla stessa etnia. Le persone che partecipano alla vita delle comunità cristiane, i ragazzi che vivono da sei mesi nell’ostello, cominciano a respirare uno spirito diverso. Qualcuno di loro, che qualche mese fa non vedeva l’ora che finisse la scuola per andare a combattere, adesso comincia a dubitare e a chiedersi se sia davvero la cosa giusta da fare. Questi sono gli inizi per una possibile riconciliazione.

Annunciare il Vangelo a Lare, oggi, non può prescindere da questa situazione. Il compito appare molto al di sopra delle nostre forze e capacità. Ci sarebbe davvero da abbattersi e rinunciare: ci mancano la lingua, la cultura, le conoscenze, la preparazione, le capacità... eppure il Signore ci ha messo qui a celebrare la Sua Pasqua. Ci danno forza le parole di Papa Francesco che invita a confidare nel lavoro previo e nascosto dello Spirito: “...il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno... esiste già nei singoli e nei popoli, per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte.” (Evangelii gaudium 265)

 

La domanda decisiva

Alla fine dunque, arrivati in questo posto lontano da tutto, anche noi ci sentiamo ricondotti alla questione fondamentale e ineludibile: “Credo davvero con il cuore che il Signore è risorto è vivo e opera in mezzo a noi?”.

La risposta non è da dare a parole, ma con la pace e la gioia della Pasqua del Signore che si manifestano nella nostra vita.

Ringraziamo tutti coloro che in questi mesi ci ricordano nelle preghiere e in tanti modi spirituali e materiali.

Ricordatevi anche di Rebecca, Isacco, Giona, Giovanni e Rachele che sono stati appena battezzati.

Buon tempo pasquale a tutti!

Don Matteo Pinotti