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Dov'è l'uomo adulto?

Sono rimasto colpito dalla dichiarazione rilasciata dal preside dell'istituto scolastico frequentato dal ragazzo che a Corigliano Calabro è stato fermato con l'accusa di aver ucciso e bruciato  Fabiana, quindicenne. Queste le frasi virgolettate che ho letto sul Corriere della Sera del 29 maggio: "E' un ragazzo intelligente, ma poco studioso. Riesce a ricuperare, anche se spesso si assentava da scuola. E' un giovane fuori dalle regole, ma non è un mostro. E neanche un ragazzo di morte". E' solo questo ciò che un adulto, socialmente responsabile di quel ragazzo, sa dire a proposito di azioni tanto efferate? E sono in qualche modo di aiuto per i ragazzi affermazioni in cui non vengono responsabilizzati, ma tendenzialmente discolpati? Siamo forse noi adulti divenuti un pò impalpabili, inafferrabili, viscidi nel tentativo di esorcizzare il male, avendo perso il coraggio di guardarlo in faccia e inorridire? Sono domande (non accuse) sofferte, e che fanno soffrire, ma abbiamo un bisogno affamato di qualche punto fermo, per guardare in faccia i ragazzi, e offrire loro occasioni per uscire da un narcisimo senza confini (anche di età) e diventare uomini e donne che rispettano il quinto comandamento (insieme a tutti gli altri).

la sfida della complessità

La domanda è pesante e ci sta tutta. Anzi, in tutta franchezza credo sia da estendere un po’ a tutti i campi significativi e fondanti della nostra attuale esperienza umana, educativa, civile, politica.

Quante cose sconcertanti vediamo accadere giorno dopo giorno, non è facile trovare una chiave di lettura... quasi che la nostra capacità critica, di discernimento e di giudizio sia complessivamente annebbiata. Se mi guardo indietro e penso a questi ultimi decenni, alla luce della mia esperienza colgo alcune dinamiche macroscopiche tra loro fortemente correlate: l’introduzione massiva di nuove tecnologie (in particolare del business e della comunicazione), la globalizzazione (del sapere, dei mercati, della cultura, dei modelli), la velocità crescente con cui i nuovi modelli/saperi vengono acquisiti ma poi bruciati, la rapida perdita di conoscenze (“scadute”) e dunque di competitività dei singoli, delle imprese, del sistema integrato.

Ognuno di questi temi mi pare ricco e meritevole di approfondimento, ma non è qui e ora la sede.

Ma non c’è dubbio che nell’insieme queste dinamiche prospettano un aumento esponenziale della COMPLESSITA’ con cui l’uomo si trova a doversi misurare. Si tratta di una sfida nuova, alla quale anche antropologicamente non siamo attrezzati. La nostra storia di uomini ci ha insegnato piuttosto la lenta ed affidabile sedimentazione del sapere e dei modelli. La virtù della “saggezza” includeva la capacità di saper leggere questo sedimento per trarne insegnamento per la vita presente e futura. Ed era tipicamente la virtù dei più vecchi, il cui sapere era prezioso ed assolutamente valido, un sapere pratico e teorico da trasmettere con orgoglio e pazienza alle nuove generazioni. Oggi invece vediamo branche enormi di sapere che scadono nel corso di una vita, anzi di brevi cicli di vita. Ciò che molti adulti professionisti della mia generazione (medici, ingegneri, tecnologi, economisti, etc.)  hanno studiato all’Università è tecnologicamente e metodologicamente scaduto, solo chi continua a formarsi giorno dopo giorno rimane in qualche modo aggrappato al treno in corsa. Un “anziano” (di età e di sapere...) rischia l’emarginazione se non è più rapidamente in grado di dialogare non solo con i colleghi, ma anche con i figli o i giovani delle generazioni successive. Emarginazione che in pratica significa essere messo da parte perché “non più utile”, magari cassintegrato o licenziato alla prima occasione. O escluso dalle discussioni: emarginazione come non-comunicazione. Dunque il concetto di “saggezza” su cui l’uomo si è fondato per millenni è scosso alla radice: il “vecchio” non pare più saggio ma “fuori corso”. Poi c’è la globalizzazione come corsa continua e vorticosa, enorme centrifuga di culture, lingue, storie, saperi, fedi. Con al centro il “motore immobile” della tecnologia a fare da volano. Comprendere e leggere tutto questo (e molto altro) è una sfida impegnativa che ci richiama al nostro essere adulti in una dimensione difficile e instabile, in bilico tra saggezza, comprensione del cambiamento, evoluzione, nuovi linguaggi, nuove tecnologie, nuovi mondi.

Non c’è dubbio che sia una sfida dura, di intelligenza ma anche e soprattutto di cuore e di coscienza. Che tende a scoraggiarci perché, come dicevo, è molto nuova ed inedita nella storia dell’uomo. La tendenza che vedo prevalere è quella del “mollare”, del chiamarsi fuori, come esigenza istintiva di reagire alla complessità semplificandola. Di fronte alla complessità si tende così a reagire scegliendosi di volta in volta arbitrarie semplificazioni, con l’effetto sgradevole di risultare un po’ tutti ora più qualunquisti, ora più relativisti, ora più indifferenti, ora semplicemente più cinici, etc. L’esito non è tanto un problema di età, ma di risorsa e qualità personale e spirituale. Così anche il preside dell’istituto, nonostante l’età, il ruolo e la responsabilità, ha fatto la propria scelta chiamandosi fuori dall’analisi complessa del fenomeno e optando per una semplificazione che potesse in qualche modo lasciare tutti contenti.

Di fronte a tutto questo, la strada non è disegnata ma va cercata: nuovi modelli ci aspettano, piaccia o non piaccia quello che abbiamo conosciuto nella seconda metà del secolo scorso è superato e quanto a quello che ci aspetta la sfida è complessa e aperta. E ci coinvolge, richiedendo il nostro impegno per starci dentro, con tutte le fatiche conseguenti, ma anche con la forza e la sapienza che per i cristiani scaturisce dalla fede, una sapienza che non scade perchè ci parla delle cose essenziali e fondamentali, riportandoci ogni giorno alla ragione della nostra croce personale e delle nostre responsabilità, ma anche della nostra gioia e della nostra speranza.