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Verso il postcovid: come?

Da alcuni giorni sentiamo parlare più spesso e con maggiore concretezza di vaccini, che progressivamente ci procureranno una valida difesa dal coronavirus. Certo servirà tempo per estenderne i vantaggi a tutti, comunque, pur nella pesante situazione attuale, iniziamo a vedere la fine di questa a dir poco strana esperienza di isolamento, di sofferenza e per non poche famiglie anche di morte. Vorrei provare ad aprire una qualche pista di riflessione, per farmi trovare almeno un pò preparato alla fase successiva, che in ogni caso non sarà una passeggiata. Che cosa spero? Da una parte la disponibilità a qualcosa di nuovo, nel senso che sarà difficile andare avanti semplicemente come se non fosse avvenuto qualcosa di importante per i singoli e per la società. I modi di lavorare, di insegnare, di rapportarci, di scegliere, di consumare, di divertirci ecc. saranno segnati da u no stile diverso, più delicato e articolata, e insieme più fresco come quando si lasciano cadere fardelli pesanti e non più utili per il viaggio. Dall'altra parte spero che si possano superare atteggiamenti che l'esperienza della chiusura può aver acuito: penso alla chiusura della mente e delle prospettive, dei rapporti interpersonali e di gruppo, dei giudizi e dei pregiudizi, in una parola penso alla diffidenza. Ecco temo che l'esperienza vissuta possa indirizzarci verso una chiusura reciproca maggiore, forse perché risulta un pò più difficile fidarci gli uni degli altri. Sapremo superare, dopo il sospetto che la persona accanto sia infetta o possa infettarci (non parlo naturalmente delle doverose precauzioni sanitarie), il paralizzante sospetto che l'altro ci mninacci, o o ci prenda qualcosa, o invada la mia privacy, o comunque sia per me un disturbo, un peso da evitare? Non penso che qualcosa di veramente bello e nuovo possa nascere da un piccolo genio isolato, spero che nasca da una profonda disponibilità all'incontro, dalla collaborazione, dalla volontà di esporsi non per sovrastare qualcuno, ma per mettersi in gioco. Un esempio di quello che intendo: un telegiornale ho informato che Angela Merkel ha rimproverato i paesi ricchi di accordi per la distribuzione dei vaccini solo al loro interno; la cancelliera ha proposto di creare un accordo internazionale per coinvolgere direttamente nella distribuzione e fin dall'inizio i paesi più poveri del mondo, che poi sono anche quelli in condizioni sanitarie scadenti, a dir poco. Ecco di cosa abbiamo bisogno, a idee e iniziative di questo tipo punta la (mia) speranza.

Condivisioni vicine e lontane

Nella mia limitata esperienza, vedo che il bisogno di vivere momenti veri di condivisione e gioia non si è affatto assopito. Credo altrettanto che, restando nell’ambito delle conoscenze più strette, la fiducia che si ha gli uni gli altri, se vera e concreta, non possa essere messa in discussione da questa situazione globale; credo invece che uno dei risultati di questa forzata distanza e riduzione della condivisione aiuti a scremare ciò che prima si vestiva di fiducia e amicizia e che invece lo era solo di facciata. Questa lontananza forzata farà seccare gli intonaci stesi su pareri già marce, favorendo la distinzione tra persone veramente vicine e chi invece lasciava all’opportunismo la guida delle proprie relazioni.
Lo stesso comportamento di chi addossa alle doverose precauzioni sanitarie come le giustamente definisce don Alberto la colpa di rovinare il tessuto sociale suona a me come un alibi per la propria incapacità a vivere le stesse relazioni anche in contesti diversi o di emergenza. Pensiamo ad esempio a situazioni come guerre, o, più vicino a noi, di Paesi divisi da muri: non era forse l’esistenza del muro di Berlino un deterrente alla condivisione e alla relazione durato quasi 30 anni? Ricordiamo tutti le immagini delle persone che, nel momento esatto in cui gli eventi hanno portato forse fortuitamente alla sua caduta, si riversano in strada e vogliono vivere e festeggiare e ridere insieme. Quelle relazioni, che erano vere, non si sono fatte intimorire da un muro e dalla violenza che esso ha causato. Se le nostre non riescono a sopravvivere a un anno di doverose precauzioni sanitarie (che niente hanno a che fare con una dittatura o imposizione, parole che tristemente ho sentito e letto) le domande che ci dovremo porre sono ben altre, completamente slegate da qualsivoglia virus o lockdown. Beninteso, la situazione generale mette a dura prova molte persone, e non è assolutamente facile da sopportare; è proprio in queste situazioni che si vede e vedrà chi è in grado di avere relazioni vere e trovare modi per sostenere chi è in difficoltà anche quando ci sono ostacoli.
Diverso è a mio avviso il discorso che riguarda le relazioni più lontane, fra popoli, che si avvicinano di più alla sfera politica della solidarietà. Il sostegno alle zone povere del mondo è assolutamente auspicabile, come Angela Merkel ha tenuto a sottolineare. Allo stesso modo, credo anche che per favorire questo tipo di sostegno sia necessario che i paesi che hanno investito in tecnologia e ricerca per arrivare a trovare il vaccino debbano essere anche i primi a usufruirne, in modo da potersi concentrare meglio sulla distribuzione globale in un secondo momento. Per fare una semplice similitudine, ma utile per far capire il concetto, è simile alla situazione che si ha durante un viaggio in aereo nel quale si debba usare le maschere per l’ossigeno: “indossare la propria maschera prima di aiutare gli altri, bambini compresi”, altrimenti si rischia di non salvare proprio nessuno.