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Riflessioni

Consiglio per una lettura estiva - alternativa

Da un, amico esperto di economia, mi è stato segnalato e consigliato un libro, che approfittando dell'estate, mi sono affrettato a leggere. L'autore è MORETTI ENRICO; il titolo: La nuova geografia del lavoro; editrice: Mondadori, anno 2013, prezzo € 10,50.

Consiglio a mia volta il libro a tutti, e specialmente ai giovani e ai genitori. Ovviamente le tesi dell'autore non sono inoppugnabili, ma gli stimoli offerti sono molto forti e anche scioccanti, anzitutto per noi italiani. La scrittura è accessibile a tutti, gradevole e intensa.

Se ci saranno reazioni, si potrebbe in qualche occasione ragionare iniseme: a mio prere ne vale proprio la pena; non mancano del resto le provocazioni anche come cristiani.

Buona estate!

Una lettera molto forte e molto tenera: da leggere come preghiera!

Un giovane uomo incontra una giovane donna; nasce un rapporto che si consolida, e si fanno progetti di vita. Ma interviene la malattia, che, benché curata, si rivela sempre più grave, e si conclude con la morte della donna amata. Ecco la lettera mandata nell’occasione al don; l’autore ne ha permesso la pubblicazione in forma anonima, quale testimonianza.

Caro don  ……..

Grazie per le tue parole di conforto in questo momento così doloroso e soprattutto per la tua preghiera che so che ci ha sempre accompagnati in questi ultimi tre anni. Non ti nascondo che é stata (ed ancora lo è) davvero un’esperienza durissima: vedere la persona amata, così giovane, spegnersi lentamente, lottando contro una malattia così terribile e spietata. Nel suo atteggiamento vedevo la voglia di vivere per la sua famiglia, per me e per le persone amate e il gran desiderio di superare il momento difficile per portare a termine i progetti di vita.

Ti posso assicurare che ci amavamo davvero. Sicuramente la malattia ed il cammino che abbiamo percorso assieme in questi ultimi anni ha rafforzato e consolidato questo sentimento avvicinandolo a quello dell’insegnamento di Gesú Cristo nel Vangelo.  Con ……..  in questi anni penso di aver scoperto il significato più spirituale della parola “amore” che non si riduce al semplice affetto per un’altra persona fatto di sensazioni positive associate a una situazione di benestare, ma si converte in un sentimento più profondo e complesso che passa a un livello nel quale si  scopre la bellezza di donarsi incondizionatamente all’altra persona, stato in cui si scopre la gioia anche nelle situazioni di dolore solo per il fatto di poter aiutare l’altra persona, facendola sentire amata.

Adesso capisco con più chiarezza il concetto di donarsi all’altro, di dare e non ricevere, ed il premio così grande che si guadagna realizzando un atto di amore autentico e disinteressato. Visto da fuori tutto questo potrebbe sembrare un sacrificio enorme o un’azione eroica (molti parenti, amici  e conoscenti sono arrivati a dirmi che ho fatto una cosa che in pochi avrebbero fatto ed hanno elogiato il mio comportamento, anche se non mi sento degno di tanto elogio) ma in realtà non lo è per nulla. Per me non é stato un sacrificio, ma è stata una fonte di forza per continuare a lottate nella situazione così terribile che ……..  stava vivendo, perché mi rendeva felice amarla ed accompagnarla nella malattia. Vedere un suo sorriso,  ascoltare le sue parole di amore nei miei confronti, capirla con un semplice sguardo, percepire ed alimentare la sua voglia di vivere, condividere la speranza, la positività e la forza con cui lottava. per me tutto questo non aveva prezzo e ripagava qualsiasi “sacrificio” che ho dovuto affrontare. Purtroppo mi spiace che tutto questo mi sia stato rivelato in una situazione così drammatica.

Ovviamente non sto dicendo che sia stato piacevole o facile, però non è stata una cosa che ho fatto con fatica o sforzo, anzi come ho pensato in varie occasioni ed ho manifestato nel mio messaggio di “arrivederci” (e affermo con totale certezza “arrivederci” e non “addio”, sì, perché arriverà il momento in cui potrò rincontrarmi e riunirmi con …….) durante il funerale, sicuramente se potessi tornare indietro nel tempo non cambierei niente di quello che ho fatto e rifarei le stesse scelte. Penso che questa forza, probabilmente non sia solo umana ma mi sia stata data dal Cielo, dalla fede riposta nel Padre Eterno affidandomi alla sua volontà.

Certamente adesso non riesco a trovare consolazione o spiegazione per tutto ciò che è successo e vorrei tanto che …….  fosse qui accanto a me per portare a termine i nostri progetti di vita. Forse questo rientrava nei progetti di Dio a noi spesso incomprensibili, ma certo sempre progetti d’amore. Anche se tuttora non riesco a comprendere con chiarezza il motivo …

……..  è stata davvero una gran lottatrice ed un esempio di vita. L’ho accompagnata fino all’ultimo istante, rimanendo al suo fianco insieme ai famigliari e vedendola esalare l’ultimo respiro prima di lasciarci. Spero che abbia potuto “sentire” la nostra presenza e vicinanza e che questo l’abbia aiutata nel suo passaggio verso il cielo. La terrò sempre presente per il resto della mia vita. L’esperienza che ho vissuto mi ha fatto riflettere su molti aspetti riguardanti la nostra breve e fragile esistenza e sicuramente mi ha aperto gli occhi soprattutto per quel che riguarda l’ordine dei valori nella vita. Cercherò di rifarmi una vita seguendo questi insegnamenti che mi sono stati impressi a fuoco nella mente e nell’anima.

In questo momento di profonda ristrutturazione spirituale e di lotta emozionale voglio ricordarmi di …….  pensando a una bella frase che ho letto, anche se non so chi è l’autore: “Non viviamo per morire, ma moriamo per vivere! ”

In questo percorso tumultuoso  continuo a vedere, ed adesso con ancora più chiarezza ed energia, la presenza di Dio, che agisce come motore della nostra vita. Mi appoggio a Lui, alla mia famiglia ed alle persone care che mi amano e mi circondano, che sono davvero tante anche se non tutte sono vicine fisicamente. Spero di essere all’altezza, con tutti i miei pregi e difetti, per compiere il progetto di vita che il Padre Eterno ha scritto per me e prego che mi conceda un giorno di potermi rincontrare e di condividere la vita eterna con la persona che ho tanto amato in questi ultimi dieci anni.

Grazie ……….. Appena ritorno vengo a vederti così scambiamo due (o quattro) chiacchiere e ci diamo un forte abbraccio. 

Natale

Il Natale celebra la nuova vita; speriamo che sia il tempo di vita nuova per chi ne ha bisogno. I peccatori come me, fragili vascelli in mare aperto e ostile, imparino a governare bisogni, aspirazioni, emozioni e abbiano sempre con se' la cassetta degli...attrezzi! Ne basterebbero tre, anche se molto...pesanti: fede, speranza e carità; quella carità che è amore per gli altri prima che per noi stessi. Io, distratta dal peso della vita, ho spesso la cassetta vuota, o quasi. Ma poi arriva Natale. E anche per me, immeritevole, si fa il tempo di vita nuova. Auguri da Roma. Che peccato esser venuta a Mantova e non aver varcato la soglia di Sant'Egidio! Ma ero così confusa! Chi mi conosce lo sa. Ci sarà un altro tempo e ci sarò anch'io. Buon Natale

don Renato... in bocca al lupo

don Renato Pavesi apre la sua memoria e il suo cuore alla sua ex comunità parrocchiale e a tutta la chiesa mantovana.
Dopo 24 anni in Ognissanti, una vita ... Parole semplici, profonde, vere... grazie!

http://www.ognissantisanbarnaba.it/2/index.php/unita-pastorale/news/190-arrivederci

 


Cari amici,

Augusta mi ha chiesto di scrivere qualcosa prima di lasciare Ognissanti-san Barnaba, ma lo faccio quasi di malavoglia ed all’ultimo momento, perché non mi viene in mente nulla da dire. Non che non ci sia niente da dire: ci sono 24 anni da raccontare! E che mi sembra inutile, ma ci provo.

C’era una volta, no, non va bene!Tanti, tanti anni fa, no nemmeno così.

A metà luglio, non cerco di ricordare il giorno, il vescovo mi dice di venire in Ognissanti e io, come adesso, gli dico di si. L’anno prima, dopo la morte di don Mario Chittolina mi ero reso disponibile a sostituirlo al Carcere; il vescovo mi disse che sì, ero adatto ma aveva scelto un altro. Pensai che era un pericolo scansato.

A Ognissanti conoscevo soprattutto qualche capo scout e poi monsignor Rosa che sapevo aveva cominciato a perdere la memoria. Vengo per parlarci, ma in corridoio, da basso, lo sento urlare con uno straniero che chiede soldi e decido di venire un’altra volta. Ci parlo, un’altra volta e mi pare contento, mi conosce da anni. Negli anni successivi, ogni tanto veniva a chiedermi perdono, ma io non sapevo per cosa e cercavo, ogni volta di rassicurarlo. Non credo lo facesse senza sapere cosa facesse, forse, ho pensato, gli dispiaceva non essere più lui il parroco e sentiva bisogno di scusarsi con me di questo pensiero. L’anno prima quando gli avevano chiesto le dimissioni per raggiunti limiti di età, era stato malissimo e poi aveva avuto un infarto.

Credo sia stato nella prima messa domenicale celebrata, che Isa, visto che erano mancate le ostie, aveva commentato:”Cambia il prete ma le cose restano sempre quelle”. Allora non sapevo come dovevo interpretare la frase, ma in seguito, capii che era quasi un apprezzamento.

A Ognissanti c’erano molte cose in disordine, impianti non a norma, finestre del corridoio che facevano acqua al primo acquazzone, le cantine piene di detriti e di cianfrusaglie, le porte del corridoio, il cancello su via Belfiore che restavano aperti di notte,  che ci dormivano e ci lasciavano, abbandonate, le bici, i motorini, magari rubati e Zeffirino brontolava perché non poteva mai pulire il pavimento, ma c’era la gente, la gente di monsignore, di don Claudio, di don Cesare, di don Walter. C’era il ricordo di Maurizio e il Claudio Bergamaschi che veniva a dir messa quando tornava dal Brasile e c’era Mario Lazarin, tutti giorni, puntuale alle 17, con la bicicletta che metteva nel sottoscala, la visita al Bar, la messa nella quale rispondeva sempre in fretta prima degli altri e poi le battute a volte feroci con Rita Frassoni, la vice parroco.

A complicare le cose arrivava Pier che guardava monsignore, a messa, e diceva: al pigosa! Questo è folklore, certo, ma faceva parte di Ognissanti.

Salto tante cose e vengo a dire che a Ognissanti spesso incontravi una certa spavalderia, un sentirsi superiori agli altri, derivante dall’avere una forte identità data dalla lunga e felice permanenza di monsignore, dalle esperienze avviate nel dopo Concilio, dalla convinzione diffusa di avere atteggiamenti comuni di apertura fisica e mentale, di attenzione al povero, di autonomia del laico, di accoglienza verso tutti, di sincerità, libertà di parola e di azione, anche di piantare un chiodo nell’affresco della cappella dei morti. Non è tutto oro quello che luccica.

Entrare in Ognissanti non era e non è così facile, occorre almeno e forse più di noviziato e di apprendistato, proprio perché entri a far parte di un mondo che ha le sue caratteristiche ben marcate alle quali è affezionato. Ma, venendo all’essenziale, Ognissanti anche se fatta di tanti intelligenti ha soprattutto un gran cuore e ti vuole bene; ti critica, ti prende in giro, ti mette a nudo, ma ti vuol bene, ti fa suo, ti adotta. Questo l’ho sperimentato, soprattutto negli anni della dialisi e poi del trapianto.

In quel periodo avevo pensato spesso di lasciare, mi spiaceva per don Giovanni che nel frattempo era venuto ad abitare ad Ognissanti. La malattia a lieto fine è stata per me una grazia: ho avuto bisogno di tanti e tanti mi hanno aiutato. Imparare che non hai solo il dovere di fare per gli altri, ma che è decisiva l’esperienza dell’aver bisogno, perché è esperienza della tua debolezza ed allora solo impari ad essere misericordioso, a comprendere cioè la debolezza altrui. Appena stai meglio peggiori, ma devi ricordarti di Paolo che dice: “Quando sono debole, è allora che sono forte”, ma è una strada lunga da fare e da imparare per arrivare a dire non sono migliore dei miei fratelli.

S. Barnaba mi scusa se le dedico meno righe. Mi sono trovato bene, perché c’era voglia di fare in diversi, voglia di dimenticare. Ognissanti pensava e pensa che vada tutto bene, s. Barnaba aveva più coscienza delle cose che non andavano. Anche a s. Barnaba c’è disponibilità a fare, certo il gruppo attivo è più piccolo, pochi si assumono tanti impegni e questo a volte mi è dispiaciuto, ma è una cosa bella vedere molta generosità.

Quest’estate durante la route di clan e il campo di riparto mi sono preparato a lasciare lo scoutismo dopo tanti anni. Ho pensato che si deve lasciare, sapere che c’è il momento di lasciare, con malinconia, certo, ma si deve fare. Penso di dovere molto allo scoutismo, ai tanti capi con i quali ho lavorato e che ho stimato e ammirato.

Che significato ha lasciare, perché lasciare quando ancora puoi fare e ti piace fare? Perché un prete lascia la sua gente? Forse perché non se ne approprii, perché sia chiaro che che noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio? Il prete è servitore di una comunità e il distacco rimarca questa verità. Certo non può essere il trasferimento da un ufficio all’altro.Un altro può fare cose che io non ho saputo fare, chissà, anche questo ha un suo senso in Dio.

 

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