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Società e violenza

guerre reali e paci sperate

La terribile esperienza della guerra della Russia contro l'Ucraina ha spinto una parrocchia a interrogarsi sulla evoluzione dell'insegnamento e dell'azione della Chiesa a proposito di guerra giusta e ingiusta. Sono stato invitato a dare un contributo, del quale partecipo le note sul sito, con l'intento di invitare a riflettere e agire in una situazione tanto drammatica.

IN TEMPO DI GUERRA (e di guerre)

Introduzione

1. Viviamo sotto la pressione di eventi gravissimi, che da lontani sono divenuti vicinissimi, e per i quali non eravamo / siamo preparati (un’economia di guerra, informazioni problematiche, ricorso a informazioni problematiche e a semplificazioni del tipo: amico – nemico, aggressore – aggredito; ansia e incertezze crescenti, ecc.): insomma un tempo di prova, in senso forte come usa parlarne la Bibbia.
2. Si tratta di eventi complessi, che coinvolgono imperi, stati, unioni in parte dissolti, ma il cui lascito è tuttora gravido di conseguenze pesantissime: la storia importa, e molto. Questo è anche il caso della guerra della Russia contro l’Ucraina.
3 Ciò è tanto più vero in quanto questi eventi si iscrivono in tensioni globali, che investono in modo diretto o indiretto l’intera umanità (fe a parlare di ‘scontro di civiltà).
4. Onestà vuole che riconosciamo che anche questa guerra coinvolge anche le chiese cristiane, lacera profondamente l’intera ortodossia (con i patriarcati di Costantinopoli, Mosca, Kiev), provoca tensioni anche tra il Papa Francesco e il patriarca russo Kirill.
Ma un discorso analogo vale per tutte le religioni. Del resto quante volte le religioni sono (state) coinvolte (talora in modo orribile) nel nominare Dio quale fautore o protettore di guerre; del resto anche recentemente alcuni (cristiani) pensano di poter considerare la guerra quale meritato castigo di Dio per i peccati, o come occasione di rinnovamento morale per i popoli, ecc.
Si propongono Linee guida per la formazione personale e comunitaria a partire dal vangelo di Gesù, che tuttavia non sarà citato in modo diretto, avendo piuttosto come scopo una specie di preparazione ad ascoltare con cuore libero le parole evangeliche “Amate i vostri nemici, ecc. i
Parliamo di guerra in senso stretto, intesa come conflitto armato, organizzato o sostenuto da stati (politica, economia, diplomazia, trattati internazionali, alleanze militari, ecc., tralasciando i problemi legati al terrorismo, ai conflitti asimmetrici, ecc. Il punto di osservazione privilegiato e obbligato è quello delle vittime (abbandoniamo pertanto la posizione dell’osservatore neutrale). Ci accompagna la recente (2020) lettera Enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti, nn. 255-262.

1. La guerra è una minaccia costante (non episodica) nella vita e nella storia umana, è il dominio incontrastato dell’ingiustizia, eppure (o proprio per questo) si è sempre posta la domanda sulle possibili giustificazioni (FT n. 257): può una guerra essere giusta, (nel senso della morale politica, della morale delle istituzioni pubbliche di uno stato)? Il cammino recente (benché ormai centenario) ha portato la chiesa cattolica a formulare una risposta sempre più s-bilanciata, in senso negativo. Ma da secoli la tradizione morale e giuridica della chiesa (e non solo) ha formulato e aggiornato costantemente una serie di condizioni severe per una risposta in senso positivo. Uno stato può giustamente iniziare una guerra contro un altro stato se:
- è impossibile o esaurito ogni genere di trattative;
- se subisce un’aggressione ingiusta (nei termini definiti dal diritto e dai trattati internazionali) e attuale, cioè non riferita al passato (così si esclude la guerra preventiva);
- se rifiuta la strategia di una guerra totale o indiscriminata (tipo quella nucleare, chimica e biologica, caratterizzata da potere distruttivo incontrollabile);
- se rifiuta l’uccisione di civili, ossia se rispetta il discrimine tra militari e civili;
- se si rispetta una certa proporzione tra il risultato sperato e i danni temuti;
in sintesi una guerra può essere giusta se mira nel fine e nei mezzi a ristabilire la giustizia, non alla cancellazione / annientamento / schiavizazione dello stato avversario.
Ebbene nell’attuale contesto globalizzato risulta molto difficile sostenere che i cinque criteri elaborati nei secoli passati possano in concreto rendere giusta una guerra; più che la pace, una guerra prepara un’altra guerra FT (n.258s.).
Del resto una guerra non si scatena dall’oggi al domani, ha una preistoria, cresce, si prepara, si calcola, quindi si fa. Insomma la chiesa (a partire dall’esperienza storica della prima guerra ‘mondiale’ (il giro di boa è avvenuto lì) restringe ed erode la legittimità morale e giuridica della teoria di una guerra giusta, rendendola sempre meno utilizzabile; cioè la chiesa tende a misconoscere giustizia alla guerra.

Tuttavia resta un angolo o uno spazio quella teoria in cui non può essere semplicemente cancellata: è il diritto / dovere dello stato e degli stati di opporsi al dominio della violenza e del sopruso; in altre parole resta il diritto / dovere di distinguere tra aggredito e aggressore. Ciò tuttavia non autorizza a negare che le due (o più) parti in conflitto abbiano parziali ragioni storiche o giuridiche: spesso il quadro non è tutto bianco o nero).

2. Comunque anche nella conduzione concreta di una guerra ‘giusta’, rimane del tutto valida anzi decisiva la distinzione tra giusto e ingiusto: sopprimerla (per quanto facile) è disastroso in ogni senso. Da qui l’obbligo di escludere: bombardamenti sui centri abitati, strage di civili, uso di armi non intelligenti o poco intelligenti, costruzione e commercio internazionale di armi offensive, massacri e torture, violazioni del diritto internazionale (ad esempio nel trattamento dei prigionieri), ricorso a corpi armati sottratti ad ogni controllo (truppe speciali, ecc.), riduzione alla fame delle popolazioni, ecc. ecco alcuni dei cosiddetti ‘danni collaterali’. E non si sottovalutino il dramma degli orfani e dei mutilati, e dei profughi … e la condizione di molte donne (essendo la guerra fin troppo maschilista).
Ciò vale anche per l’emanazione di ordini da parte dei capi, e per l’esecuzione degli stessi ordini da parte dei militari di ogni livello gerarchico, la cosiddetta obbedienza: se una guerra deve essere giusta, l’obbedienza non può essere cieca, ma deve essere selettiva, cioè in rapporto alla giustizia degli ordini emessi.
Difficile dar torto al Papa: “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato” (FT n. 261).

3. Il cammino dell’insegnamento e della pratica della chiesa è pertanto unidirezionale:
da una facile o passiva accettazione delle guerre giuste
alla progressiva e crescente riduzione, erosione delle giustificazioni delle guerre (‘l’inutile strage’ di Benedetto XVI a proposito della prima guerra ‘mondiale’; l’enciclica Pacem in Terris’ di Giovanni XXIII, il concilio Vaticano II e fino a Papa Francesco),
al sostegno esplicito ad ogni iniziativa a favore dell’intesa e dell’incontro (anche tra religioni a sostegno della pace, come quello dello scorso 25 ottobre al Colosseo, affinché non vengano strumentalizzate).
Grazie a Dio la chiesa corre, non lasciamo solo il Papa e qualche illustre testimone della pace di Cristo!

Raccontare l’Africa non rende alla carriera - Domenico Quirico al Festivaletteratura 2017

Ho iniziato il Festivaletteratura 2017 con l'evento " Raccontare l'Africa non rende alla carriera", incuriosita dalla presenza di Domenico Quirico, giornalista de La Stampa, che in marzo era stato vicino a partecipare alla nostra festa parrocchiale. Felice di poterlo finalmente ascoltare ma consapevole che la “botta” da prendere ascoltando un uomo che ha scelto di raccontare l’area più periferica del mondo, sarebbe stata dura. Ecco, non immaginavo quanto.

Per fare carriera i corrispondenti puntano agli Stati Uniti, il cuore dell’economia e della politica mondiale. Lui no. A Domenico Quirico l’economia, il PIL, l’organizzazione mondiale, non sono mai interessati. “Mi interessano gli uomini, le loro storie, le domande che si pongono ogni giorno, quindi la scelta dell'Africa è automatica!”
Le domande che si pone l'uomo africano ogni giorno sono: sopravviverò fino a domani, troverò qualcosa da mangiare? Qualcuno mi farà fuori con un macete? Dio dov'è?
L'uomo di fronte al suo destino è lì.
Tutti i continenti hanno conosciuto uno sviluppo nell’ultimo secolo, quale più quale meno. Tutti tranne l’Africa. Gli africani vivono con meno di quanto avevano negli anni 60.
E chi li conosce gli africani?
Non la maggior parte dei giornalisti, molti dei quali confondono il Niger con la Nigeria…
Non i “politicanti” che si occupano del problema mondiale dell'immigrazione, ma non sanno dov'è il Togo, qual è la capitale del Gambia, figuriamoci cosa in quei luoghi succede…
Abbiamo cominciato a conoscere gli africani quando sono sbarcati a Lampedusa coi barconi. L’Africa è venuta qui a farsi conoscere e ci interessa nella misura in cui la vediamo. Nel momento in cui qualcuno ce la renderà di nuovo invisibile, come già sta iniziando a succedere... non ci interesserà più, torneranno a leggersi sui giornali dieci righe ogni tanto.
Secondo Quirico il cosiddetto mal d'Africa è una cretinata bestiale: “Non mi viene l’esaltazione per la savana, per i paesaggi, no... mi attirano gli africani perché hanno qualcosa di importante da insegnare: la tenacia mistica del sopravvivere!”

Non c’è bisogno di stimolare la sua riflessione, è un fiume in piena, con la passione nella voce di chi si è contaminato dell’orrore di certe situazioni, di chi si è sporcato con la vita degli africani, mica l’ha vista dal quartier generale delle agenzie di stampa che vendono news preconfezionate in tutto l’occidente. Di tanto in tanto prende fiato e così Valerio Pelizzari, uno tra i primi venti corrispondenti di guerra del mondo, gli offre qualche spunto su cui farci riflettere.
Gli chiede di raccontarci che rapporto hanno i cinesi con l'Africa, perché ne sono interessati, e il giornalista della Stampa riprende la narrazione con il suo incedere appassionato.

Fino a poco tempo fa erano interessati alle materie prime, per alimentare il loro forsennato sviluppo. I cinesi non si pongono domande, lavorano velocissimi, i risultati del loro lavoro assomigliano a quelli ben fatti, poi è lo stesso se dopo tre mesi la strada costruita collassa o nell’edificio spuntano crepe... lavorano con la loro manodopera a bassissimo costo, non fanno domande alle classi dirigenti africane su come hanno ottenuto il potere, se le elezioni erano vere o truccate...
Adesso però, come accade in tutti gli imperialismi, si stanno accorgendo che dal fattore economico bisogna passare allo stadio successivo, a controllare i luoghi. Così per es. a Gibuti hanno costruito una base navale anche loro (le altre potenze mondiali c’erano già tutte). La scusa è che vogliono difendere le loro navi dai pirati. I cinesi stanno passando a questa seconda fase, anche se in generale l’atteggiamento della Cina è autoreferenziale, e dunque un po’ distaccato.

Un’altra breve pausa consente a Pellizzari di mettere il focus sul ruolo della classe dirigente africana, che quando si presente nelle occasioni di incontro internazionali, appare piuttosto arrogante, dissipata.

Negli anni l'occidente ha rovesciato miliardi di dollari per la voce "sviluppo dell'Africa". Soldi veri, tanti, spesi dai governi occidentali. “Aiutarli a casa loro” non è una novità inventata negli ultimi mesi di campagna elettorale perenne.
In Ciad hanno il lago Ciad, un “mare interno”, che si sta prosciugando perché prima sulla sua costa vivevano circa 200.000 persone, adesso ce ne sono alcuni milioni. Altro che surriscaldamento globale, è che non ce n’è per tutti...  Lì le strade sono solo intorno alla capitale, in tutto il resto del territorio ci sono solo piste di sabbia tramite cui si raggiungono i villaggi. Ebbene, alle porte di ogni villaggio c'è il cartello con la bandiera della UE o della Francia, o di qualche altro stato occidentale e la scritta: "Progetto per l'irrigazione, progetto per l’infrastruttura tal dei tali… progetto per… " . Solo che poi entri nel villaggio e il progetto era solo sul cartello, non c'è mai niente di realizzato davvero.
La domanda è: chi si è rubato i soldi?
L’enormità di soldi stanziata per l’Africa è finita per metà nelle tasche della classe dirigente africana, quelli che l'Occidente ha messo al potere in quei paesi, l’altra metà nelle tasche dei governanti occidentali in cambio dell’acquisizione del controllo del potere in quei luoghi... Le vittime sono gli Africani che non hanno avuto niente e vivono da sempre nella assoluta povertà.
Quindi la favola che dobbiamo aiutarli a casa loro non esiste... chi controlla dove vanno a finire i soldi se il ministro del Ciad è a libro paga del ministro francese per favorire acquisti sono dalle industrie francesi? Questo è il sistema!!
C'è gente che è nata e cresciuta a Daadab, il campo profughi più grande del mondo. 500 mila persone che sopravvivono in condizioni disumane tra Somalia e Kenia (consiglio di digitare su Google Daadab e guardare qualche immagine per farsi un’idea). E’ un campo che esiste da oltre 25 anni, anzi, la somma di più campi, addirittura molte persone sono nate e cresciute lì senza mai uscirne. Quello che colpisce è la disperazione umana e l'immobilità. La Somalia è un problema insolubile, tra 30 anni si diranno le stesse cose.
In quella zona sono presenti tutte le organizzazioni umanitarie. Gli operatori stanno lì, in una struttura separata dal campo profughi circondata da un doppio giro di filo spinato alto più di due metri, con mezzi blindati che girano tutto intorno, armati.
I giornalisti vanno a vedere la situazione scortati. “Io non sono un embedded, quindi ci sono andato come volevo io, con un keniota tra l’altro molto simpatico, e ho visto cose incredibili”.
Alle 17 distribuiscono la cena poi vanno via, i buoni samaritani, e si chiudono nella loro zona. La domanda è: perché uno che va aiutare la gente a non crepare di fame deve vivere blindato e difeso dai carri armati? Perché vive al centro dell'Africa come e meglio che se vivesse a New York?
I missionari cristiani, su cui nel tempo sono state rovesciate tutte le peggiori critiche, perché andavano a portare un pensiero e una cultura diversa da quella degli autoctoni, vanno in missione e vivono insieme agli indigeni, prendono le stesse malattie, muoiono per le loro stesse ragioni. E’ un modo eticamente più onesto rispetto a questa carità miliardaria.
Il campo di Daadab è sempre lì, uguale a se stesso. Quando finiscono i soldi per pagare 5000 euro al mese il funzionario di turno, che va lì con lauree e master in cooperazione internazionale, allora vengono fuori gli articoli sui giornali che parlano di Daadab, per raccogliere i soldi che servono a mantenere quella macchina.
Noi occidentali facciamo mille volte al giorno un gesto semplice... aprire il rubinetto. E scende l'acqua. Un clik… e si accende la luce. Abbiamo cancellato la notte. Si cambia il rapporto con la natura, con il tempo…
Ci sono milioni di uomini per cui questi gesti non esistono, neanche come idea. La “mondializzazione” è una bufala gigantesca. Dice Marchionne che la stessa auto la puoi vendere a New York e a Biella. Un computer è uguale in qualunque parte del globo. Peccato che ci sono due terzi del mondo che non ha la corrente elettrica, non può attaccare la spina da nessuna parte. Queste persone escono di casa e devono fare 10 km portandosi un otre sulla testa per poter bere un po’ d’acqua.
A furia di frequentare questi luoghi ti si apre una frattura dentro e non riesci più a posizionarti in equilibrio, si prova più disagio a stare in questa parte del mondo, dove questi gesti sono alla portata di tutti…
L’obiettivo che si pongono i politici non è risolvere il problema della migrazione, Per loro l'obiettivo è rendere invisibile i migranti. Nel momento in cui non li vediamo più il problema non c'è più ... ma non è certo questo il punto.
È una questione di diritti, i diritti universali di sopravvivere, enunciare le proprie idee, andare in un posto o in un altro senza che nessuno te lo possa impedire. Quando questo non accade c'è qualcosa che si sta sgretolando. È la nostra identità come occidente che viene meno, la nostra cultura...
L’occidente ha avuto il merito di creare un concetto di “diritto” attribuendolo a un essere vivente astratto, indipendentemente da dove abita, dove è nato, cosa crede. I diritti universali sono di tutti, vanno attribuiti a ogni individuo, a ognuno di questi che arrivano. Perché ognuno di loro ha un motivo diverso per emigrare. Uno fugge dalla guerra, uno vuole diventare uomo, uno vuole affermarsi nel lavoro, uno vuole costruirsi una famiglia, uno vuole garantire una vita migliore alla sua famiglia. È la straordinaria complessità di questa umanità. Se non riconosciamo questo ci automutiliamo e siamo destinati a perire come cultura.

Ecco, sul finire di questo incalzante racconto, Pellizzari mi toglie di bocca la domanda che avrei voluto porre a quest’uomo magro e nervoso, che tra le sue esperienze annovera cinque lunghi mesi di prigionia in Siria, in condizioni estreme: il contatto con il male, come si gestisce, cosa lascia dentro?

L'unico modo per conoscere il male e raccontarlo è immergervisi, scoprire com’è, come manipola le persone. Non si può immaginare quanto sia enorme il male con la M maiuscola.
Ogni tanto il suo contrario, che forse si può definire “bene”, lo annacqua. E’ l'uomo che compie degli atti che in qualche modo cancellano o attenuano il male. Sono azioni, non ideologie, non pensieri: il bene e il male sono conseguenze delle azioni umane.
La frequentazione del male ha un prezzo, non lo maneggi senza scottarti, senza avvelenarti. Non diventi automaticamente un uomo migliore. Il contatto con questa realtà ti mette in un limbo in cui ti accorgi che non puoi più fare certe cose. L'esposizione alla radiazione del male è troppo forte. “Confesso che sono un po' stanco, non fisicamente, corro ancora la maratona, ma sono stanco dentro. Nel 2011 ho fatto un viaggio con i migranti da Zarzis a Lampedusa, con affondamento del barcone. Abbiamo scritto, detto, fatto conoscere, in tutti questi anni. Eppure adesso potrei rifarlo uguale, partendo un po’ più in là, dalla Libia, addirittura pagando meno di allora… Quindi cosa ho ottenuto? Non so neanche se la gente si commuove più... e allora?” 

Rimane lì sospesa questa domanda drammatica, mentre i tempi a disposizione per l’incontro sono terminati. Non riesco a trattenere silenziose lacrime, sembra davvero tutto sbagliato, tutto quello che l’uomo ha costruito si fonda sulla disuguaglianza e sul sopruso, con la maggior parte del mondo nascosta agli occhi perché scomoda. Cosa vediamo quando incontriamo per strada queste persone? L’invasore, l’aggressore, una minaccia al nostro status quo. Come aprire gli occhi per vedere quello che davvero sono? Persone a cui il nostro modo di vivere squilibrato, ha creato povertà, infelicità, disperazione, morte. Come difenderci da quello che altri vogliono farci vedere? Come sottrarsi al pregiudizio, allo stereotipo?
Mi sembra che l’unico appiglio da cui ripartire sia il concetto che il bene e il male sono conseguenza delle azioni delle persone, non delle ideologie o di altro. AZIONI, dunque alla portata di ogni persona, quindi anche alla mia. Andiamo avanti, con un pizzico di consapevolezza in più, certo lo scossone è stato violento.
Grazie Domenico Quirico!

In difesa della Famiglia e dei bambini

In questi giorni, il parlamento italiano discuterà l'approvazione di un decreto di legge chiamato "ddl Cirinnà". Tale decreto proposto, è apertamente in contrapposizione con la Dottrina Cristiana ed aprirebbe la strada anche nel nostro paese a nuove forme di schiavitù come l'utero in affitto, oltre ad esporre i bambini alla privazione della madre dal momento della nascita. E' fondamentale garantire oggi e sempre ad ogni bambino il diritto ad avere una madre ed un padre.
Mi permetto di sottoporre questo grande e grave problema a tutti gli amici della nostra Parrocchia, chiedendo DI UNIRCI IN PREGHIERA affinché questo decreto legge non venga approvato e, per il bene comune, si cerchino invece leggi che proteggano e siano reale sostegno alle famiglie e soprattutto ai bambini.

Nel 2003, la Congregazione Per La Dottrina Della Fede, per volontà di Papa Giovanni Paolo II, scrisse un documento firmato anche dall'allora Prefetto Card. Joseph Ratzinger proprio su questo tema per noi di strettissima attualità. Qui di seguito il link ufficiale del Sito Vaticano con l'intero testo del documento:
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_...

Nel salutarvi, copio qui sotto un estratto dell'Omelia di Papa Giovanni Paolo II a Washington il 7 ottobre 1979:
"Reagiremo ogni volta che la vita umana è minacciata. Quando il carattere sacro della vita prima della nascita viene attaccato, noi ci alzeremo in piedi per proclamare che nessuno ha il diritto di distruggere la vita prima della nascita. Quando si parla di un bambino come un peso o lo si considera come mezzo per soddisfare un bisogno emozionale, noi interverremo per insistere che ogni bambino è dono unico e irripetibile di Dio, che ha diritto ad una famiglia unita nell'amore.
Quando l'istituzione del matrimonio è abbandonata all'egoismo umano e ridotta ad un accordo temporaneo e condizionale che si può rescindere facilmente, noi ci alzeremo in piedi affermando l'indissolubilità del vincolo matrimoniale.Quando il valore della famiglia è minacciato da pressioni sociali ed economiche, noi ci alzeremo in piedi riaffermando che la famiglia è necessaria non solo per il bene privato di ogni persona, ma anche per il bene comune di ogni società, nazione e stato.Quando poi la libertà viene usata per dominare i deboli, per sperperare le ricchezze naturali e l'energia, e per negare agli uomini le necessità essenziali, noi ci alzeremo in piedi per riaffermare i principi della giustizia e dell'amore sociale.Quando i malati, gli anziani o i moribondi sono abbandonati, noi ci alzeremo in piedi proclamando che essi sono degni di amore, di sollecitudine e di rispetto."

omertà e giovani?

Ho esitato a lungo prima di inserire questa riflessione che è iniziata quando si è saputo della triste sorte del giovane Domenico, lo studente padovano morto durante la gita scolastica a Milano. Non sono nè faccio il detective; esprimo solo il mio sgomento di fronte al fatto che numerosi inquirenti, il prete durante il funerale, i genitori di Domenico abbiano più volte parlato chiaramente di silenzi incomprensibili, di distacco emotivo dei compagni dalla tragedia, fino a mettere in conto la terribile omertà (parola che probabilmente è una variante meridionale del termine umiltà, e indica la sottomissione alle regole della camorra...). Sempre in riferimento a quanto scritto su alcuni quotidiani (seri) e riportato in alcuni tg la partecipazione dei genitori è stata assai fredda, e anche l'istituto scolastico non è andato oltre il minimo, niente fiori sul banco, ecc. Nè hanno avuto risposta le domande rivolte da qualche giornalista a qualche genitore di ragazzi della stessa classe in gita; e meno che mai qualche genitore ha detto pubblicamente, cioè all'intervistatore delle tv: ragazzi dovete dire tutto e subito agli inquirenti, alla preside, a noi... La preside intervistata ha risposto: "se fosse vero che i compagni non dicono quello che sanno, vuol dire che abbiamo allevato dei mostri". Un mese circa è trascorso, e il silenzio continua ... Spero di sbagliare completamente, e che pertanto risulti che in verità non c'è nulla di più da sapere. A tuttora resta il forte dubbio che i ragazzi e non solo si defilino, mentre a terra resta il morto, ucciso forse in uno scherzo sconsiderato, e poi congelato nell'omertà. La globalizzazione dell'indifferenza (da cui Papa Francesco ci mette in guardia) è ormai in mezzo a noi, e rischia di coinvolgere anche i giovani, e di aumentare a dismisura il numero e la forza dei 'camorristi'.

 

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