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Società e violenza

Giustizia è fatta?

Abbiamo appreso dai media, qualche giorno fa, della morte di Bin Laden. Un personaggio diabolico del nostro tempo, che ha lasciato dietro di sé una scia di terrore e di morte e che solo il tempo dirà quanta proliferazione di male può continuare a portare anche ora che non c’è più, grazie al seme di odio e vendetta gettato in questi lunghi anni. Tuttavia le immagini di festa, che in molti casi hanno accompagnato il diffondersi di questa notizia, ripetutesi per giorni e in varie occasioni, mi hanno creato un senso di sgomento al quale non riuscivo a dare una forma e una spiegazione precisa. Certo, viene meno una persona terribile, ma ugualmente fare festa… non ci sta. Ho poi letto sul quotidiano La Stampa, un commento di Enzo Bianchi, priore di Bose, una persona speciale che insieme al gruppo parrocchiale a cui appartenevo in gioventù, ho avuto la fortuna di conoscere durante un ritiro organizzato al suo monastero. Ecco, in questo scritto, che riporto qui sotto, Enzo Bianchi ha offerto una prospettiva  di riflessione che mi pare valga la pena di essere approfondita, affinchè non ci “perdiamo” a festeggiare la morte di un uomo, ma cerchiamo di essere costruttori di pace per fare in modo che il male non trovi più un terreno così fertile in cui mettere radici.
 
«Giustizia è fatta!» ha proclamato il Presidente degli Stati Uniti nell’annunciare al suo Paese e al mondo che Osama bin Laden è stato ucciso. Confesso che i sentimenti che mi abitano come cristiano e come cittadino di un Paese che non contempla nel proprio ordinamento la pena di morte sono contrastanti.

Da un lato c'è la soddisfazione legata alla uscita di scena di una persona che, per sua stessa ammissione, ha seminato morte e odio, ha avvelenato la comprensione della religione, usandola come droga per esaltare la violenza, ha inquinato mortalmente la convivenza civile e i rapporti sociali, a livello locale e planetario.

D’altro canto il Vangelo, ma anche la mia coscienza umana, non mi autorizzano a rallegrarmi per la morte di un essere umano, fosse anche il più malvagio sulla terra, fosse anche il nemico mortale che ha attentato alla vita delle persone più care. Non si tratta di evocare l’esortazione cristiana al perdono - argomento su cui a lungo si è riflettuto dopo l’epifania del male assoluto nei campi di sterminio nazisti - ma di riconoscere con gravità e amarezza che la morte di una persona non è mai motivo di gioia: forse di sollievo, perché ormai quel malvagio non potrà più nuocere, anche se il seme dell’odio gettato non smette per questo di crescere; forse è fonte di appagamento di quel desiderio di vendetta che abbiamo vergogna di confessare e che ci affrettiamo a nobilitare con il termine di giustizia; forse è occasione di rinnovato rimpianto per le vittime della violenza omicida e per non aver saputo fermare prima quello strumento di morte. Ma gioia no, quella non l’ho sentita nascere in me nell’apprendere la notizia dell’uccisione di Bin Laden e non vorrei vederla sul volto di un altro uomo, un uomo come me, un uomo come lo era Bin Laden. Come cristiano penso a Bin Laden ora in giudizio davanti a Dio: quel Dio il cui nome ha bestemmiato per seminare morte e predicare la guerra, quel Dio creatore degli uomini e protettore della vita cui ha dato un volto perverso e mortifero.

E mi è anche difficile fare mie le parole del presidente Obama: «Giustizia è fatta!». E non perché ritenga che l’unica giustizia sia quella divina, che il giudizio autentico sia solo quello che ci attende tutti al cospetto di Dio. Ma perché rimango convinto che ogni essere umano è e resta più grande delle sue colpe, anche quando queste sono spropositate. D’altronde anche la rivelazione biblica e cristiana afferma riguardo all’immagine di Dio impressa in ogni essere umano: l'omicida può smarrire la somiglianza con Dio, ma non può perdere quell’immagine che Dio stesso ha voluto consegnare a ogni creatura umana, Caino compreso.

Ma anche della giustizia umana ho un concetto che non mi consente di vederla realizzata nell’uccisione mirata di un pluri-assassino: la cattura, il giusto processo, la messa in condizione di non nuocere di un criminale non richiedono necessariamente la sua soppressione fisica e non traggono da questa maggiore autorevolezza o efficacia. Sopprimere l’ingiusto non è ancora fare giustizia: perché giustizia, anche umana, sia fatta, a ciascuno di noi resta un compito che nessuna arma né squadra speciale può svolgere per conto nostro. Resta la vicinanza e la solidarietà con i parenti delle vittime della sua barbarie umana, resta il contrastare nel quotidiano le energie di morte che l’assassino ha scatenato, resta la ricostruzione di un tessuto umano e sociale vivibile, resta il rifiuto di rispondere al male con il male, resta la costruzione della pace con gli strumenti della pace, resta di proseguire tenacemente nell’operare ciò che è giusto. Davvero non basta che un malvagio sia annientato perché giustizia sia fatta!

ENZO BIANCHI

Fantasmi di ieri... e di oggi

Quando da ragazzo ho studiato il fenomeno del nazismo mi sono scontrato con una domanda apparentemente senza risposta: come ha potuto il popolo tedesco, profondo e grande per filosofia, rigore scientifico, poesia, musica… come ha potuto un popolo di tale spessore e qualità farsi travolgere da un’ideologia di morte assurda come quella nazista senza avere la forza di alzare la testa e rigettarla?

La domanda è rimasta a lungo senza ipotesi di risposta convincenti.

Sono passati un po' di anni da allora, la storia è andata avanti… anche in questi ultimi tempi ne osserviamo scorrere i capitoli, come titoli di un film impazzito perennemente sotto i riflettori. E, lo confesso, per quanto riguarda la nostra “piccola storia italiana” mi sto ritrovando a domandarmi come possa un popolo che ha una storia, una cultura, dei valori ricchi come il popolo italiano, trovarsi oggi ripiegato e abbrutito nella passiva accettazione di quanto ci viene quotidianamente proposto.

E questa sensazione di disagio si fa più intensa quando sento risuonare la parola evangelica, limpida, luminosa, colma di senso, di significati, di speranza. Una parola che ha nutrito tante generazioni, e che vedo oggi tanto violentemente e scientemente depotenziata. A tanti livelli. Dai mezzi di comunicazione di massa, asserviti a logiche di potere, controllo, audience, mercato. Da un sistema politico che, sprezzante come non mai, sta perdendo ogni residua dignità e non si prende più neppure la briga di nascondere dietro a qualche discorso di circostanza la pratica quotidiana misera, volgare e umiliante che vediamo ogni giorno. Ma poi da tutti noi, la gente comune, spaesati e confusi, in balia di una parola e di un pensiero vacuo che ci sminuzza e ci disperde in mille rivoli… E anche la Chiesa istituzione, in grande sofferenza, stenta ad essere autorevole nell’aggregare la comunità dei fedeli intorno alla parola viva di Cristo, forse troppo legata a un sistema di potere che seduce ma poi presenta sempre il proprio conto.

Vedo molta confusione, difficoltà nel trovare i confini minimi di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, di ciò che ha un senso e di ciò che senso non ha, titubanti nel prenderci le responsabilità di uomini civili e di cristiani, timorosi nel rinunciare al compromesso sempre-e-comunque che finisce per mettere tutto e tutti sullo stesso piano.

Questo è un clima pericoloso, humus ideale in cui vive, vegeta e prospera la sottocultura che sta programmaticamente smontando pezzo a pezzo la nostra storia, i nostri valori, i nostri significati, la nostra capacità critica e di giudizio a colpi di superficialità, volgarità... lustrini e paillettes.

Temo soprattutto per i ragazzi più giovani, non vorrei che una generazione a cui sono stati espiantati i riferimenti per impiantare con la forza della persuasione gli scarti di una sotto-cultura vuota possa poi faticare a trovare gli anticorpi per rigettarne l’ideologia a corredo.

Il timore, le domande rimangono aperte, un po’ come in quel tempo in cui, approfondendo il nazismo, non riuscivo a farmi una ragione che un grande popolo fiero e profondo come il popolo tedesco fosse stato incapace di alzare la testa e dire con forza no a quella folle ideologia che ha finito per sconvolgere la storia del secolo scorso…

 

ancora sangue...

Kabul, ancora sangue sparso... è toccato ai nostri ragazzi italiani ma i morti non si contano, i morti ammazzati non hanno nazione ne' colore. 
Non sento politica, ne' riflessione, ne' ribellione, ne' pietà ... almeno questo percepisco ogni giorno dai frammenti radio o televisivi. Piuttosto rassegnazione verso un qualcosa di ineluttabile che pare portarsi via ogni giorno vite umane e sicurezze, ma poi anche posti di lavoro, aria e acqua pulita dono di Dio ed eredità ricevuta.

Non aggiungo parole, solo propongo una vecchia e luminosa canzone di un grande autore canadese, che all'indomani di una guerra americana in Vietnam oggi infinitamente distante ha reinventato con pura licenza poetica la storia del sacrificio di Isacco come metafora della storia di tanti ragazzi mandati a morire.

 


Creare la traduzione di una poesia "visionaria" purtroppo è arte data a pochi, riporto il testo originario lasciandone all'ascoltatore interessato il gusto...

The door it opened slowly,
my father he came in,
I was nine years old.
And he stood so tall above me,
his blue eyes they were shining
and his voice was very cold.
He said, "I've had a vision
and you know I'm strong and holy,
I must do what I've been told."
So he started up the mountain,
I was running, he was walking,
and his axe was made of gold.
Well, the trees they got much smaller,
the lake a lady's mirror,
we stopped to drink some wine.
Then he threw the bottle over.
Broke a minute later
and he put his hand on mine.
Thought I saw an eagle
but it might have been a vulture,
I never could decide.
Then my father built an altar,
he looked once behind his shoulder,
he knew I would not hide.

You who build these altars now
to sacrifice these children,
you must not do it anymore.
A scheme is not a vision
and you never have been tempted
by a demon or a god.
You who stand above them now,
your hatchets blunt and bloody,
you were not there before,
when I lay upon a mountain
and my father's hand was trembling
with the beauty of the word.

And if you call me brother now,
forgive me if I inquire,
"Just according to whose plan?"
When it all comes down to dust
I will kill you if I must,
I will help you if I can.
When it all comes down to dust
I will help you if I must,
I will kill you if I can.
And mercy on our uniform,
man of peace or man of war,
the peacock spreads his fan.

Finanza ed economia: cosa (ci) sta succedendo?

Ci sono terremoti rumorosi e altri più ovattati.

La finanza internazionale, l'economia mondiale ed europea, le aziende stanno col fiato sospeso a fronte di una crisi che in ogni caso lascerà ferite profonde nella vita di molti stati e famiglie. Una crisi che interroga profondamente la coscienza di ognuno, e in particolare dei cristiani.

Vi piacerebbe confrontarvi serenamente con un esperto del settore, per comprendere più da vicino (la crisi infatti è molto complessa e difficile da decifrare) ciò che sta accadendo, o meglio ciò che ci sta accadendo?

Se sì, rispondeteci rapidamente e ci organizzeremo al più presto.

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