Salta navigazione.
Home

Società e violenza

"Sentinella, a che punto siamo della notte?" Il difficile periodo di crisi economica e le prospettive future

[Da Diapason del 25/12/2013] Incontro sulla perdurante crisi sociale ed economica. Prima parte. Nella prima parte della serata presso la Canonica di Sant'Egidio ad alimentare il dibattito sul tema è il Prof. Alessandro Lai, docente di Economia Aziendale all'Università di Verona, sprona ad un pronto – seppur complesso – processo di ripresa. A cura del Gruppo Caritas dell'Unità Pastorale _________________________________________________________________________________________________ E' già la terza volta che ci interroghiamo in parrocchia sulla crisi sociale ed economica che continua a colpire duramente famiglie e persone. Questo terzo incontro, che si è tenuto il 15 novembre, ha tentato l’approccio al tema attraverso due ottiche distinte e complementari: quella presentata dal Prof. Alessandro Lai, dell'Università degli Studi di Verona, sulle prospettive economiche del prossimo futuro su scala nazionale e internazionale; quella presentata dalla dott. Maria Luisa Cagìa, coordinatrice dei progetti di microcredito e di altre realizzazioni della Caritas mantovana, sulle ricadute sociali e familiari della crisi nel nostro territorio. Don Alberto apre l’incontro, spiegando il titolo che ha scelto mediante un commento al passo di Is 21,11-12, cui subito si ricollega il Prof. Lai che imposta il suo intervento proprio in quest’ottica: egli si pone come la sentinella che anzitutto si volta indietro, per vedere da dove arriva il nemico. Si torna così nel settembre 2008, quando in America, in un periodo apparentemente florido, ma molto spinto sul fronte del credito al consumo, banche ed istituti di credito cominciano ad immettere sul mercato i cosiddetti “titoli spazzatura”. Ne deriva una crisi finanziaria su scala globale, che tra i suoi effetti più devastanti vede un taglio enorme sul credito bancario alle imprese. A catena, queste ultime incontrano enormi difficoltà ad alimentarsi e ad investire, non sostengono più una sufficiente produzione di beni e servizi nè, di conseguenza, riescono più a garantire adeguati livelli di occupazione. Ecco, in sintesi, come un meccanismo negativo che nasce nel sistema finanziario si ripercuote a cascata sull'economia reale. Il Prof. Lai procede mettendo a confronto tre diversi modelli di sistema capitalistico precisando che sotto lo stesso nome sussistono profonde differenze e che proprio queste ultime hanno consentito ai rispettivi paesi di reagire in maniera diversa alla crisi mondiale. In particolare, il Prof. Lai ha messo in evidenza i principali tratti distintivi tra capitalismo di matrice anglo-sassone, capitalismo di matrice tedesca e capitalismo di matrice latina, a cui afferisce direttamente il nostro paese. Per esempio, nel capitalismo di matrice anglo-sassone, il fallimento è considerato un elemento fisiologico dell’economia. Chi fallisce si reinventa e si rimette sul mercato. Si tratta evidentemente di un orientamento molto diverso da quello adottato nel nostro paese, spiccatamente protettivo sul versante dell'impiego, dove il sistema si basa essenzialmente sulla famiglia, considerata anche il primo ammortizzatore sociale. È emblematico il fatto che, in Italia, anche le più grandi imprese siano riconducibili a noti gruppi familiari, che ne detengono la proprietà o il controllo. Nel 2008 la produttività delle imprese italiane era incomparabilmente più bassa rispetto alla produttività delle imprese degli altri Stati. Eppure le nostre imprese venivano protette ad ogni costo dallo Stato, nonostante una spesa pubblica eccessivamente gravosa ed improduttiva. Si sono adottate politiche di mero contenimento, senza respiro e senza obiettivi di investimento in campi chiave come la ricerca scientifica e l'innovazione teconologica, gli unici versanti su cui puntare per favorire la ripresa dell'occupazione giovanile e la competitività del nostro Paese. Risultati: l'aumento del debito pubblico, un crescente squilibrio sociale, un clima di sfiducia generale dilagante, nonché il crollo dei consumi. Non ci sono stati interventi nelle grandi opere pubbliche, in particolare nel settore dei trasporti per favorire collegamenti veloci verso le grandi città. (pensiamo solo alla difficoltà di chi deve andare in treno da Mantova a Milano!). Non c’è stato alcun intervento per migliorare la governance dello Stato e razionalizzare la spesa pubblica. Non si è intervenuti sul versante della giustizia, nonostante sia noto che i tempi biblici ed incerti per la soluzione delle controversie giuridiche sia uno dei fattori maggiormente disincentivanti per gli investimenti esteri in Italia. Non si è proceduto ad alcuna forma reale di sburocratizzazione per snellire le procedure per avviare nuove attività produttive. A differenza della Grecia e della Spagna, l'Italia non ha accettato gli aiuti economici europei, convinta di cavarsela da sè. L’unico modo con cui si è pensato di ridurre il deficit è stato quello di introdurre nuove tasse. “Ci sono spiragli di luce?” Il Prof. Lai, nei panni della sentinella che adesso volge lo sguardo al futuro, sostiene di sì, a condizione: - di guardare alla domanda per beni di consumo che proviene dall’estero, in particolare dai vicini paesi del bacino del Mediterraneo, ancora a bassissima produttività. - di investire prioritariamente in ricerca ed innovazione, perchè solo in tal modo possiamo pensare di essere competitivi e restituire prospettive ai giovani; - di investire nei “prodotti premium” del made in Italy, ad alto livello qualitativo e a contenuto emozionale. Ne sia di esempio il settore dell'alta moda; - di investire sul turismo e sull'ambiente prestando grande attenzione ai temi ecologici e alla riqualificazione del territorio; - di favorire stili di vita sobri e comportamenti sociali ad alto valore etico; - di incentivare i giovani a fare esperienze di lavoro all’estero, per poi riportare in Italia l’esperienza acquisita. Non possiamo più permetterci il “localismo geografico” tipicamente italiano! Queste le indicazioni del Prof. Lai per la ricrescita del nostro Paese. Una disamina maggiormente volta alle necessità inerenti la realtà territoriale mantovana è quella fornita dalla dottoressa Cagia, per la quale rimandiamo al prossimo numero di Diapason. [continua]

Libera circolazione delle droghe "leggere"?

Sul quotidiano La Stampa di Torino di Giovedì 9 gennaio è stato pubblicato un articolo a firma di Ferdinando Camon, dal titolo LO SPINELLO LIBERO SAREBBE LA RESA DOPO LA SCONFITTA. L'ho trovato molto interessante, e consiglio di leggerlo e discuterlo. Può essere utilizzato per introdurre una riflessione con ragazzi, giovani, e ... adulti. Si trova facilmente qui, tramite web.

Dov'è l'uomo adulto?

Sono rimasto colpito dalla dichiarazione rilasciata dal preside dell'istituto scolastico frequentato dal ragazzo che a Corigliano Calabro è stato fermato con l'accusa di aver ucciso e bruciato  Fabiana, quindicenne. Queste le frasi virgolettate che ho letto sul Corriere della Sera del 29 maggio: "E' un ragazzo intelligente, ma poco studioso. Riesce a ricuperare, anche se spesso si assentava da scuola. E' un giovane fuori dalle regole, ma non è un mostro. E neanche un ragazzo di morte". E' solo questo ciò che un adulto, socialmente responsabile di quel ragazzo, sa dire a proposito di azioni tanto efferate? E sono in qualche modo di aiuto per i ragazzi affermazioni in cui non vengono responsabilizzati, ma tendenzialmente discolpati? Siamo forse noi adulti divenuti un pò impalpabili, inafferrabili, viscidi nel tentativo di esorcizzare il male, avendo perso il coraggio di guardarlo in faccia e inorridire? Sono domande (non accuse) sofferte, e che fanno soffrire, ma abbiamo un bisogno affamato di qualche punto fermo, per guardare in faccia i ragazzi, e offrire loro occasioni per uscire da un narcisimo senza confini (anche di età) e diventare uomini e donne che rispettano il quinto comandamento (insieme a tutti gli altri).

Il mondo del lavoro oggi

RUBRICA – I GIOVANI E IL LAVORO – a cura di Cesare Signorini


CARI GIOVANI, CREATE IL VOSTRO FUTUROL'esortazione di Umberto Rizzini intervistato da Diapason: "Siate intraprendenti: informatevi, cercate, ideate: solo così potete farvi spazio nel crudele mondo del lavoro"


Questa rubrica si pone l'obiettivo di analizzare la difficile e fragile sinergia che lega il giovani del nostro tempo con l'impervio e claudicante mondo lavorativo. In redazione ci ha raggiunto l'Ing. Umberto Rizzini, membro del Consiglio Pastorale della nostra parrocchia, che ha condiviso la sua esperienza maturata sul campo, al fine di proporre ai giovani alcune considerazioni e soprattutto saggi consigli. Già insegnante in un istituto professionale, conduce ora una attività di programmazione di software personalizzati per le aziende, di cui è responsabile. Cosa ti piace del tuo lavoro? Conduco questa attività da molti anni e mi è sempre piaciuto creare, fare, sia cose pratiche che prodotti virtuali, come ad esempio i software che progetto. Come ti sei introdotto nel mondo del lavoro? Mi sono sposato dopo la laurea, senza ancora un lavoro stabile e certo. Non ero spaventato, perché allora, dopo l'inevitabile gavetta, il titolo di studio specializzato garantiva un impiego stabile. Diventai insegnante e contemporaneamente lavoravo in proprio nello studio di programmazione. Col passare del tempo, il portare avanti due lavori e farli bene entrambi era diventato inconciliabile oltre che troppo assorbente rispetto alla famiglia, per cui decisi di abbandonare l’insegnamento, nonostante mi desse soddisfazione, ma fu una scelta azzeccata. Adesso come vedi la situazione dell'introduzione nel mondo del lavoro? Al giorno d'oggi purtroppo viviamo in una forte instabilità di impiego, dovuta a diverse concause, tra cui inconfutabile fenomeno recessivo degli ultimi anni. Le certezze sono limitate ed è obiettivamente problematico per un giovane, terminati gli studi, progettare un futuro, anche in vista di un matrimonio. Se quando terminai io l'università ci si sposava anche senza un lavoro stabile e certo, ora non è più così semplice, purtroppo. Questo sta portando ad una dilazione notevole dell'età in cui le coppie decidono di sposarsi. Ci sono differenze, secondo la tua esperienza, tra giovani non diplomati, diplomati e giovani laureati nell'approccio alle attività lavorative? Credo che per i lavori – passatemi il termine – più "umili" – quelli per i quali non serva specializzazione accademica per intenderci – la tendenza sia a formare più contratti e più stabili, mentre per un giovane laureato si prospettano in maggioranza contratti a progetto o a tempo determinato: questo svincola le aziende, che possono agire così con maggiore flessibilità e comodità. I contratti a tempo indeterminato infatti non sono scindibili se non con iter burocratici lunghi e di nebulosa risoluzione. E in questo contesto, qual è il ruolo della famiglia? La famiglia tende a conformarsi all'idea di un contratto a tempo determinato. Mi spiego: l'instabilità economica e di impiego tendono a portare le famiglie, oltre che a formarsi più in là nel tempo, soprattutto a rinunciare a mettersi in gioco ed alla prova. Per questo motivo il fenomeno delle coppie non sposate sta dilagando nei tempi odierni. La corresponsabilità è il fulcro del matrimonio cristiano, molto più marginale in un rapporto di semplice convivenza. Cosa consiglieresti ai giovani per farsi spazio nel mondo del lavoro? Innanzitutto che non sperino di ricevere dal cielo contratti a tempo indeterminato perché è praticamente impossibile. Anzi, che si ingegnino, si rimbocchino le maniche guardando ad esempio ai concorsi pubblici, informandosi, perché il lavoro deve essere cercato con costanza. Per i giovani laureati, il lavoro va creato. Ai miei tempi la laurea conferiva la serenità che un lavoro ci fosse, ora è tutto diverso. Il lavoro è difficile da trovare e spesso malpagato, almeno agli inizi. Quindi come interpreti questa frase pronunciata da Steve Jobs in un incontro con un'aula piena di studenti: "Il lavoro riempirà gran parte della vostra vita e l'unico modo per essere veramente soddisfatti è quello di fare quello che pensare sia il lavoro migliore. Amate quello che fate". Secondo te è una frase utopistica e sognatrice inconciliabile con la realtà attuale dei fatti? Secondo me Jobs voleva intendere che il lavoro debba essere ingegnato, creato anche dal nulla. Bisogna mettersi in gioco ed alla prova, non basta guardare e cercare passivamente. Chi ha la fortuna e la possibilità, nonché l'abilità, di poter studiare e specializzarsi, deve mettere a frutto i suoi talenti e i suoi studi, le nozioni acquisite ed essere intraprendente. È l'unico modo per avere gratificazione in ciò che si fa. Ultima domanda: cosa può essere fatto dal mondo politico per promuovere il mercato del lavoro oggi in Italia? E cosa invece lo danneggia? In Italia non viene, a mio avviso, tutelata la realtà industriale. Lo stato non deve consentire l'esproprio della forza lavoro in altre realtà dove essa la si possa trovare a prezzo minore. Molte piccole e medie realtà hanno dovuto capitolare di fronte a questo fenomeno. Ma anche la FIAT, ad esempio, demanda la produzione ai paesi esteri, a differenza della Germania che ha investito su giovani laureati tedeschi per portare avanti, ad esempio, i colossi Bosch e Volkswagen. Inoltre esiste una problematica fondamentale: ossia l'eccessivo "consumismo": creare continuamente cose nuove, con limitato discernimento, quando si potrebbero impiegare energie e forza lavoro per rimettere in funzione ciò che già è presente sul territorio. Per esempio perché consumare ulteriore territorio per costruire nuovi capannoni o case quando si potrebbe ristrutturare quanto già presente e non più utilizzato? Meno sprechi e più lavoro: ma questo è un passaggio culturale.

Condividi contenuti