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2012/13 - Catechesi Adulti

QOELET (da aprile 2013)

Diversi per genere letterario e per stile, il libro di Giobbe e quello di Qoelet, che ci accingiamo ad affrontare, sono entrambi libri di rottura nei rispetti di una mentalità statica e soddisfatta del proprio sapere. Sono libri di crisi, di provocazione alla ricerca di una fede più autentica e consapevole.

Il libro di Qoelet o Ecclesiaste è uno dei più difficili e più importanti dell'A. T. Il termine Qoelet sembra indicare colui che partecipa all'assemblea, che prende la parola per esprimere il proprio parere diverso da quello tradizionale. Scritto intorno al 200 a. C., ne vengono date differenti interpretazioni: Qoelet è un pessimista convinto che la vita non ripaga la nostra fatica e delude tutte le nostre speranze? Oppure è un ottimista convinto che la vita, nonostante il succedersi di situazioni disparate e contraddittorie che la fanno apparire senza senso, segue un progetto, un ordine che noi non vediamo ma che la fede garantisce? 

L'autore dotato di originalità di pensiero e di grande onestà intellettuale, offre molta materia di riflessione. Vi troviamo risvolti di pessimismo ma bilanciati da un sano e realistico amore per la vita, tracce di scetticismo nei confronti di Dio bilanciati da una fede robusta, espressioni di critica distruttiva bilanciate da altre sagge e di buon senso. Vi sono presenti tutte le tensioni e le contraddizioni che fanno parte della vita osservate con occhio onesto e disincantato.

Il tema centrale del libro ruota intorno a quelle che il Concilio Vaticano II definisce: "le grandi domande che ognuno di noi si porta dentro:  Che senso ha la vita? La realtà è assurda o intellegibile?  la vita è un dono, un destino cieco o un caso? perchè questa sete che nessuna conquista riesce ad estinguere? che cosa posso sperare e che cosa devo fare?" ( Gaudium et Spes, 10)

Il tentativo di capire l'esistenza del mondo e della vita umana si scontra con l'incapacità dell'uomo di comprendere le opere di Dio e i suoi disegni. Ai tanti limiti della conoscenza che rendono pura temerarietà la pretesa di conoscere Dio e le sue vie, si aggiunge la morte, il limite estremo che pone definitivamente fine alla vita umana e rende relativo tutto ciò che esiste e si può realizzare nella vita.

Data la relatività di ogni esperienza e conoscenza, la perfetta felicità che sazierebbe quella fame di assoluto che è nello spirito umano non è raggiungibile. L'uomo deve accontentarsi di particelle di soddisfazione, momenti di felicità che diano senso alle fatiche quotidiane della vita.

Tuttavia poichè i motivi di gioia non eliminano la precarietà della vita, il saggio non sopravaluta la realtà ma accetta la vita così com'è con le sue luci e la sue ombre.

Ci aiuterà a riconoscere e cogliere le gioie della vita e ci suggerirà il giusto rapporto con Dio.

A questo libro affascinante e attualissimo  dedicheremo gli ultimi quattro incontri della nostra catechesi  di quest'anno.

Vi aspettiamo con tanto desiderio di camminare insieme alla luce della Parola di Dio.

Le catechiste Margherita, Elena, Aurora.                 

                                                                    

 

G I O B B E  (da settembre 2012)

Riprendiamo gli incontri di catechesi per gli adulti, quest'anno leggeremo il libro di Giobbe, il capolavoro letterario del genere sapienziale.

E' composto essenzialmente da un lungo dialogo poetico preceduto e seguito da una narrazione. La cornice in prosa descrive la pietà e la felicità di Giobbe e le dure prove cui è sottoposto col permesso di Dio. Pur perdendo  beni, figli e salute, Giobbe supera la prova cui è sottoposta la sua fede. Tre amici vengono a trovarlo e per sette giorni non fanno che piangere.

Il dialogo poetico inizia con lo sfogo appassionato di Giobbe che maledice il giorno della sua nascita e si articolerà poi in tre cicli di dialoghi tra il protagonista e i suoi amici che esprimono le loro opinioni morali su quanto gli è successo.

Il tema principale del confronto si interroga sulla sofferenza inspiegabile del giusto. Giobbe rifiuta le spiegazioni razionalizzanti proposte dagli amici e protesta con forza la propria innocenza e l'irrazionalità della sofferenza che lo ha colpito, chiede conto a Dio di quanto gli avviene, è Dio il grande discusso!

E alla fine "dal seno della tempesta" interviene Dio e parla a Giobbe...

Nella riflessione sul dolore innocente il grido di Giobbe diventa il nostro grido, le sue domande sono le nostre, sia nostra anche la sua pazienza, ovvero la sua fedeltà e la costante ricerca di Dio e della sua Giustizia.

Ci occorrerà anche la pazienza di non cercare uno sviluppo nella storia, di non voler trovare delle risposte ...ma di seguire il percorso del testo accettando fino in fondo la sfida di Giobbe.

Intraprendiamo con umiltà e apertura di cuore questo cammino che ci è donato di compiere insieme.

Gli incontri avranno come sempre cadenza quindicinale, al martedì pomeriggio alle 16,30 oppure alla sera alle 21.

Vi aspettiamo con rinnovato entusiasmo, le catechiste Margherita, Elena, Aurora.

 

Vanità delle vanità

Qoelet 1-2

La parola chiave per entrare nel mondo di Qoelet è VANITA' non nell'accezione di frivolo compiacimento di sè ma in un ventaglio di significati che indicano qualcosa di effimero, transitorio, sfuggente, inconsistente e perciò vano. Questa parola apre e chiude tutto il discorso, è ripetuta costantemente in ogni ambito della riflessione di questo sapiente ispirato.

Ogni aspetto della vita, ogni fatica, ogni brillante risultato, si rivela alla fine effimero perchè vedrà una fine come la vita stessa dell'uomo.

Sottolineo alcune affermazioni: 

" Ogni discorso resta a metà perchè l'uomo non riesce a concluderlo" (1,8). La ricerca dell'uomo non conclude sia perchè gli manca il tempo (la morte), sia perchè egli è incapace di  cogliere e dominare il tutto, qualcosa gli sfugge sempre. Così l'uomo sperimenta l'ansia insaziabile della ricerca ma non riesce a realizzarla in pieno.

" Ciò che è stato è ciò che sarà, ciò che è stato fatto è ciò che si farà. Non c'è nulla di nuovo sotto il sole" (1,9). Nella vita del mondo non può esserci alcuna speranza di novità. La sete dell'uomo continuerà a rimanere insaziata.

" La memoria del sapiente scompare come quella dello stolto" ( 2,16). Anche nel caso più positivo di venire ricordati dalle generazioni future, questo non ferma la morte e qualcosa di noi va sempre perso.

" Esiste dunque un bene per gli uomini? Un bene che essi possano raggiungere nei giorni contati della loro vita?" (2,3)  Qoelet lo cerca dapprima nel vino e nell'allegria spensierata. ne resta deluso e conclude che non è questo il bene che l'uomo va cercando, non può essere una ragione di vita!   Si dedica allora ai grandi lavori, costruisce palazzi, accumula ricchezze e tesori di ogni genere, si circonda di donne bellissime, gusta prestigio e potenza ma... anche una vita come questa è caduca ed effimera. Un bene però vi ha trovato, l'unico, la gioia di compiere queste imprese e di ammirarne il risultato.

E' interessante riflettere come l'esistenza umana, considerata in un orizzonte puramente terreno risulti problematica, senza fodamento, senza meta... ci fa sentire ancora più preziose le risposte che ci vengono dal Vangelo. Solo Dio nel suo infinito amore e nella sua infinita condiscendenza può venire incontro al desiderio dell'uomo e saziarne la sete.

E' stato importante durante l'incontro confrontare le nostre reazioni e tentativi di risposta alle provocazioni di una Parola che ci inquieta e interroga la nostra fede.

Chi desidera può leggere  anche il primo capitolo del catechismo per gli adulti  "La Verità vi Farà Liberi" centrato sulle grandi domande dell'uomo e sulla speranza che sorregge la nostra vita illuminata dalla Rivelazione di Dio nel suo Figlio Gesù. 

C'è un tempo per ogni cosa

Qoelet 3-6

 

Gli avvenimenti della vita umana sono racchiusi da Qoelet in quattordici coppie di termini antitetici in una sorta di legge dei momenti.

L'uomo, che pur riesce a conoscere i tempi e i ritmi della natura, non riesce a determinare e distribuire i momenti della sua vita; gli accadimenti, le azioni e i sentimenti non dipendono da lui. L'unica legge che governa il succedersi degli svariati momenti della vita dell'uomo è il volere di Dio. Egli ha fatto ogni cosa bella nel suo tempo e anche se l'uomo vive come un dramma la sua impossibilità di cogliere il senso del tutto, di dominare la sua vita, tuttavia deve accettare il proprio limite e imparare a  cogliere le gioie della vita, da quelle semplici come il mangiare , bere e stare in letizia, a quelle più profonde come il gioire nel compiere le proprie opere e mirare i risultati positivi della propria fatica.

Ma anche queste gioie non saranni tali se perseguite come meta assoluta, sono gioie solo se l'uomo ne gode, nel tempo in cui giungono, come dono,  perchè tutto è dono di Dio!

Con questo Dio infinitamente distante e imperscrutabile il rapporto è regolato dal timore. Il Timore di Dio consiste essenzialmente nell'accettare il limite e prendere atto dell'alterità di Dio che ha  la vita e la dona dall'uomo che da Lui la riceve come ogni creatura vivente. Con Dio occorre essere seri e leali, adottare una sapienza che non è solo conoscenza intellettuale ma ricerca e compimento della sua volontà. 

Questa sapienza è il timor di Dio, uno stato di grazia che scaturisce dalla consapevolezza dell'incapacità dell'uomo di comprendere le vie di Dio e dall'accettazione del proprio limite.

Il pregio della riflessione proposta da Qoelet è quello di tenerci ancorati alla concretezza della vita e farcene valorizzare ogni aspetto. Inoltre il confronto amichevole durante l'incontro ci dà modo di fare lievitare le sue domande dentro di noi e scavare nelle profondità della fede per riconoscere quanto è grande il dono della rivelazione di Cristo che ci fa conoscere la volontà di Dio che è Padre e vuole che gli uomini siano salvi. 

 

Aurea Mediocritas

Qoelet 7-8

Il saggio medita sulla vita a partire dalla sua fine sia perchè solo alla fine di una vita cessa il rischio di venir meno alla sapienza, sia perchè la morte e il dolore hanno la funzione di portare verso una più profonda conoscenza della realtà.

L'opera di Dio si rivela non solo nelle leggi eterne della natura ma anche nella distribuzione dei vari momenti che scandiscono la vita dell'individuo. Il saggio li accetta tutti perchè sia quelli buoni che quelli più dolorosi sono voluti da Dio. I momenti felici danno all'uomo la gioia che è l'unico bene di cui può godere, ma anche i giorni tristi hanno la loro funzione, quella di far riflettere; il dolore avvia alla sapienza più della gioia. Allora, oltre alla gioia c'è un altro bene per l'uomo, la sapienza come accettazione dei propri limiti umani perchè " l'uomo non può raddrizzare ciò che è curvo".

L'atteggiamento caldeggiato da Qoelet è improntato ad una sorta di "aurea mediocritas", un sano equilibrio che evita eccessi ed ansie eccessive anche nella ricerca della sapienza a scapito di altre gioie quotidiane, di altri doni di Dio.

Dio infatti ha fatto l'uomo semplice, ma egli si complica la vita con tanti perchè. Perciò il timor di Dio, proprio in quanto accettazione serena della vita e della condizione umana per quello che è, ha già in sè la sua ricompensa: " Quel che conta è che tu tema Dio ( 7,18)... so che saranno felici coloro che temono Dio... e non sarà felice l'empio...( 8,12). 

Grazie a Giobbe e Qohelet - la pazienza delle domande

Al termine del percorso catchistico di quest'anno anzitutto rivolgo un intenso ringraziamento a Margherita, Aurora e Elena per l'impegno con cui ci hanno accompagnto nella lettura e nell'assimilazione dei due libri molto impegnativi e certo anche diversi dell'Antico Testamento: Giobbe e Qohelet.  Personalmente li ho riletti con un' attenzione e sensibilità particolare, che riassumo nella pazienza della domanda. Abituati a porre problemi, e cercare e trovare rapidamente risposte efficaci fatichiamo a sostare nelle domande, quelle iportanti. Se tuttavia si guarda all'esperienza quotidiana, la cosa cambia. Quanta pazienza nella definizione di noi stessi e dei nostri obbiettivi vitali, quanta attesa nella educazione dei figli, quanta pazienza da parte di chi ci accoglie e a nostra volta siamo chiamati ad accogliere! Se poi afrontiamo le grandi domande sulla sorte del giusto e del malvagio, sul senso della vita quotidiana e non, sul valore e il limite delle esperienze e delle cose, non ci resta che diventare umili discepoli di questi due grandi scrittori ebrei. Essi non hanno l'ambizione di offrire risposte, di delineare grandi scenari, di scoprire tutto; per così dire si nascondono tra altri libri più mportanti della Bibbia, quasi per dirci: comunque ci sono anch'io, con le mie domande e ti chiedo di accoglierle per cercare e trovare ciò che io non posso offriti, ma che forse Dio ti rivelerà. Un atteggiamento importante anche per noi cristiani: sia quando dobbiamo affrontare i nostri dubbi esistenziali (prima o poi ci misuriamo on essi), sia quando incontriamo persone che vivono questi dubbi o non vanno oltre qualche domanda. Certo la luce risplende nel mondo; ma come Giobbe e Qohelet ci insegnano, noi possiamo vederla solo accettando la lunga pazienza della domanda, fino a quando Dio ci chiamerà a rivolgerci in una direzione forse diversa da quella in cui stiamo cercando: nel frattempo siamo rimasti sulla breccia, siamo rimasti attenti e vigilanti, umili e accoglienti, pronti a ricevere il dono di Dio. Allora diremo grazie anche a Giobbe e Qohelet, e vinceremo la tentazione di seppellirli nella Bibbia.

La Teofania

Gb 38-40,14
Giobbe aveva chiesto ripetutamente un confronto con Dio. Ora Dio gli appare nella tempesta.
Si rivolge all'uomo tormentato, devoto e ribelle che gli chiede di giustificare davanti agli uomini il suo agire.

Effetto primario della teofania è rimettere l'uomo al suo posto di creatura. Dio non risponde a Giobbe, non raccoglie le accuse, non le controbatte. E' Lui che conduce il discorso e lo fa a modo suo, con fine ironia.

E di fronte alla grandezza dell'opera della Creazione l'uomo prende coscienza dei propri limiti. In essa risplende non solo la grandezza di Dio ma anche la sua sapienza e la sua fedeltà. Il Creatore che ha vinto il caos primordiale ed esercita il suo dominio su tutte le creature, anche le più potenti, non è certo impotente di fronte al male, all'ingiustizia e al dolore.

Al suo cospetto l'uomo non può che far tacere la propria insipienza e adorare in silenzio.
Giobbe comprende che nessuna creatura umana può discutere con Dio e tanto meno accusarlo di ingiustizia perchè la giustizia dell'uomo e la Giustizia di Dio non possono essere poste sullo stesso piano.

Per questo la domanda di fondo di Giobbe e di ogni uomo:" Se Dio può tutto perchè non libera il giusto dalla sofferenza?" diventa sereno abbandono al Creatore e Signore che dona la vita in abbondanza e di tutte le creature si prende cura.

Contemplando la meravigliosa Creazione di Dio, dono continuo del suo amore, innalziamo un canto di lode col salmo 104.

Grazie per la spiegazione e la pazienza nel seguire

Grazie alle catechiste per la presentazione del libro di Giobbe e a coloro che hanno partecipato agli incontri, per la pazienza con cui hanno seguito. Certo il libro di Giobbe non è facile, e in un certo senso affronta problematiche più grandi delle possibili risposte. O meglio porta al di fuori e al di sopra della logica, che appare troppo ristretta, di domanda e risposta. Questa infatti è la legittima logica del maestro, mentre il libro di Giobbe ci invita a scoprire che Dio 'risponde' venendo, avvicinandosi, prendendoci per mano, e infine aiutandoci a modificare la nostra domanda fino a trasformarla in un atto di fiducia sempre rinnovata. A fronte del dolore immeritato e del male ingiustificabile l'uomo deve restare attento e disponibile alle sorprese di Dio, cioè a quelle possibilità di azione che Dio crea a partire dall'abisso del suo amore per gli uomini. In fondo questa è stata anche la via di Gesù, quella via che, giunta all'apice con la croce prima e la risurrezione poi, ha tanto sconvolto i discepoli, increduli di fronte all'una ma anche all'altra. Forse è questa attesa fiduciosa di Dio l'ultima parola del libro di Giobbe, tanto immersa nell'Antico Testamento, quanto disponibile a ricevere il Nuovo Testamento.
Ancora grazie e complimenti.

Ma il viaggio prosegue; dopo Pasqua non minori sorprese verranno dal libro di Qohèlet.

Arringa finale

I capitoli 29-30 e 31 del libro di Giobbe sono un grande poema in forma di soliloquio nel quale lo stesso ricorda la felicità perduta, lamenta la miseria presente e protesta la propria innocenza e la virtù di tutta una vita.

C 29 Contiene una preziosa testimonianza sulla concezione biblica di vita felice. Una vita il cui fondamento è l'amicizia con Dio la cui benevolenza dona gioia, prosperità e prestigio sia nella vita familiare sia nel contesto sociale.

C 30 Presenta la situazione attuale esattamente contraria alla precedente: cacciato fuori dall'abitato, schernito e disprezzato dalla plebaglia Giobbe chiama in causa Dio avvertito non più come una presenza benefica ma ostile.

C 31 Nella sua arringa finale Giobbe passa in rivista le colpe non commesse o più precisamente le virtù praticate da sempre e non per essere ammirato dagli uomini ma per l'esclusivo desiderio di piacere a Dio e di conservarsi nella sua amicizia. E' la definitiva protesta di innocenza.

Questo mirabile capitolo ci propone il decalogo e le opere di misericordia praticate virtuosamente in ogni ambito della vita quotidiana. Meditiamolo per il nostro esame di coscienza in questo inizio di Quaresima e facciamo nostre l'onestà, l' umanità e la purezza di cuore che esso ci suggerisce. 

Uno sprazzo di luce

I cc 16-17 e 19 del libro di Giobbe riportano due discorsi dello stesso come reazione e risposta agli interventi degli amici. Essi, pur non apportando nuovi contributi alla discussione,  hanno via via assunto un tono sempre più aggressivo. Giobbe ritiene vani i loro discorsi e non pertinenti al suo caso. Nella sua sofferenza inestinguibile, egli si sente vittima di calunnia ed ingiustizia, votato solo alla morte.

Preda della sventura, rifiutato da tutti, egli non smette di protestare la sua innocenza e non può non porre tutta la sua fiducia  in Dio e, sperando contro ogni speranza, esprime la certezza che l'ultimo atto della sua vicenda sconvolgente sarà l'incontro con un Dio che finalmente si rivelerà dalla sua parte.

"...io vedrò Dio, io lo vedrò e i miei occhi lo contempleranno non da straniero..." E' la rivendicazione suprema di Giobbe, la sua reiterata protesta di innocenza. Vedere Dio è un'eperienza riservata ai giusti; il malvagio se vede Dio muore; Giobbe vedrà Dio perchè è un uomo giusto!

Alla luce del N.T.  possiamo scorgere  nel grido del giusto sofferente che soffre  e muore ingiustamente la figura di un altro innocente moribondo (Mc.15,37). Il Dio che lascia l'innocente in balia della sofferenza è il Dio che verrà incontro in modo imprevedibile a questa sofferenza assumendola su di sè.

Giobbe nella sua ricerca di Dio è disponibile a battere vie sconosciute, diverse da ciò che le teorie consolidate affermano. Ha il coraggio di scavare nel profondo e la sua preghiera, il suo parlare con Dio sarà premiata con una intuizione della fede che precorre di secoli la Rivelazione di Gesù, il Cristo.

Il salmo 27, di cui consigliamo la lettura, rende molto efficacemente la tensione spirituale che domina la vicenda di Giobbe.

Parlare con Dio.

Con il cap. 14 si è concluso il primo ciclo di discorsi di Giobbe e i suoi amici Elifaz, Bildad e Sofar.

Il problema della sofferenza del giusto è stato posto in termini precisi e possiamo già vedere un primo avanzamento. Mentre gli amici restano fermi sulle loro teorie e da lì non si muovono nonostante l'evidenza dei fatti che li contraddice, Giobbe progredisce: afferma con sempre maggiore consapevolezza la propria innocenza, l'agire divino gli sembra sempre più incomprensibile, tuttavia rivela una fede irremovibile nella sapienza e giustizia divine; a queste egli si appella nei suoi discorsi.

Egli non vuole limitarsi a parlare di Dio ma PARLA CON DIO, a Lui si rivolge chiamandolo in causa con appelli appassionati che sono grida di preghiera in cui riecheggiano i salmi di lamentazione e di invocazione.

Il suo cammino interiore è tutto avvolto e a squarci illuminato dal Mistero di Dio.

 

Riprenderemo presto i nostri incontri, non mancate!

 

 

La teoria e il fatto.

Giobbe cc 6-8

Alla bella teoria di Elifaz Giobbe oppone il fatto della propria sventura, la sua è una protesta per una sofferenza che non ha nulla di logico e razionale come vorrebbero gli amici. Egli si lamenta di se stesso perchè vaneggia e non può più resistere, degli amici da cui si sente tradito e abbandonato mentre attendeva da essi pietà e compassione, si lamenta anche di Dio che, invece di soccorrerlo e liberarlo, sembra accanirsi contro di lui e opprimerlo con le sue frecce avvelenate e il suo sguardo scrutatore.

E' un uomo profondamente solo, portavoce di tutta la fragilità e sofferenza umana. Il suo lamento però si chiude con una sorprendente richiesta di aiuto a Dio che la fede continua a sapere propenso in modo misterioso verso l'uomo. Nel suo cuore si svolge una dolorosa lotta tra le due concezioni.

Il secondo amico a prendere la parola è Bildad, con poco tatto e incurante della realtà di Giobbe, ripropone la  medesima teoria: poichè Dio non rigetta il giusto, se ha rigettato Giobbe vuol dire che questi non è giusto come sostiene. Si converta quindi onde ottenere il perdono di Dio e con esso tutti i vantaggi e le benedizioni riservate ai giusti.

Un grido che viene dal profondo

GIOBBE cc 3-5

Giobbe rompe il silenzio e la sua voce risuona come un grido che viene dal profondo. Non è più il modello pio e paziente del racconto in prosa, è l'essere mortale la cui esistenza sulla terra è così penosa che lo sfogo sale spontaneo. Egli maledice il giorno della sua nascita e del suo concepimento, rimpiange di non essere morto in tenera età, chiede il perchè, il senso di tutta la sofferenza umana.

Che guadagno è vivere nella sventura? Perchè Dio, nelle cui mani sono la nascita e la morte, ci affida la vita se non la desideriamo?

Il dramma  di Giobbe è che Dio stesso è la causa del suo dramma. Egli non trova un significato degno di Dio nella sofferenza della sua creatura. Appare nel suo sfogo appassionato la dolorosa contraddizione tra la ragione della fede e la ragione dell'esperienza concreta. La prima gli dice che Dio è giusto, sapiente e misericordioso, la seconda gli suggerisce che l'agire di Dio è ingiusto e arbitrario.

Così il suo dolore più profondo è quello che nasce da questa sua lacerazione:  vede dileguarsi la sicurezza che lo ha fin quì sostenuto cioè la certezza che  Dio è giusto e  che le sue benedizioni non vengono meno per i giusti e timorati di Dio; l'esperienza invece gli mostra che esiste il male "ingiusto", non dovuto al peccato.

Come accettare un dolore ingiusto e continuare a credere nell'amore di Dio?

Al grido terrificante di Giobbe risponde Elifaz, il più anziano e sapiente dei suoi amici. Nelle sue parole affiora una profonda convinzione religiosa, egli difende Dio attraverso la dottrina tradizionale della retribuzione: Dio premia i giusti e castiga i peccatori, non si ostini Giobbe contro Dio, ma si rivolga a Colui che può salvare da ogni prova e premia coloro che a lui si sottomettono. Accetti la prova e la correzione divina!

Il discorso di Elifaz è un vero capolavoro, le sue parole ci appaiono giuste e inconfutabili ma riducono a zero il problema di Giobbe, eppure il problema c'è e rimane!

ottima interpretazione

Mi sembra un'ottima interpretazione del dramma di Giobbe, cioè del giusto sofferente, che inorridisce di fronte al male e all'ingiustizia e non comprende come Dio si pone rispetto a tutto ciò. Certo la domanda resiste, e non c'è teoria che sciolga l'enigma.

D'accordo

Ottima interpretazione. Ma poiché la sezione in cui si inquadra si chiama "Catechesi Adulti", desidererei capire se agli incontri di questo tipo, di accettabile divulgazione biblica, facciano seguito anche altre azioni (sicuramente ci saranno) per portare appunto la Catechesi ad essere "esplicazione sempre più sistematica della prima evangelizzazione, educazione di coloro che si dispongono a ricevere il Battesimo o a ratificarne gli impegni, iniziazione alla vita della Chiesa e alla concreta testimonianza di carità" come recita una definizione fra le tante, presa dal punto 30 del "Documento base per il rinnovamento della catechesi, CEI 1970".

Grazie dell'attenzione
Atty

Una fede disinteressata?

Nei primi due capitoli del libro di Giobbe vengono presentati i personaggi e il tema dei dialoghi poetici che costituiranno la sostanza del cammino appena intrapreso. Il racconto, attraverso le tipiche particolarità della narrativa biblica e la drammatica semplificazione, nasconde grande profondità psicologica sotto un ingenuo rivestimento aneddotico.

Giobbe è un ricchissimo sceicco orientale, un famoso sapiente e un giusto, timorato di Dio. Col permesso di Dio gli accadono molte sventure una più grave dell'altra: la perdita dei possedimenti, degli affetti più cari, della salute e del suo posto nel contesto sociale.  La sua fede è messa a durissima prova ma non viene meno.  Tre suoi amici venuti per confortarlo, per sette giorni piangono e fanno il lutto su di lui.

Questi i personaggi che daranno vita ad intensi e poetici dialoghi sul senso della vita, del dolore innocente e, in ultima istanza, sulla giustizia di Dio.

Non dobbiamo temere le domande inquietanti e i dubbi che suscitano, ma lasciarci provocare da essi e, nella intensità della ricerca, consentire che la nostra fede scavi fin nel profondo!

Da questo primo incontro una domanda  echeggia nella nostra mente: " La nostra fede è disinteressata o è pronta a disintegrarsi sotto i colpi delle prove?"

Invochiamo lo Spirito Santo perchè la renda forte e autentica!